Picasso e Dora Maar: la storia tra le dita

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Di Rossella Papa

Non fu abbastanza freddo l’inverno di una sera di gennaio del 1936  per congelare il fuoco vivo del primo incontro tra Pablo Picasso e Dora Maar.

Pablo Picasso, artista spagnolo che rivoluzionò la pittura del XX secolo, Dora Maar fotografa, poetessa e pittrice francese di origine croata. Un incontro che assomiglia a un sottile presagio della ferocia e della passione di un amore maledetto.

Sarà stata colpa degli occhi di Dora, quei pozzi infelici dove annegavano i resti di un amore difficile, quello per il filosofo George Bataille, che viveva l’eros come un’ossessione ultima trascinando nell’oblio del desiderio anche la Maar

Dora Maar e Pablo Picasso

E saranno state le sue dita, fili tesi del destino che avrebbero ben presto disegnato le coordinate di una storia distruttiva. Le muoveva a ritmo, quella sera di gennaio, Dora Maar, seduta al tavolino davanti quello di Pablo Picasso, che era in compagnia del poeta Paul Eluard, ai Deux Magots. Con i guanti poggiati sul tavolino, Dora consumava un gioco crudele che racchiudeva nel pericolo tutta l’eleganza e la disperazione della donna e di quella che sarebbe stata la loro storia d’amore: con la mano destra pugnalava lo spazio tra le dita della mano sinistra, a ritmo, sempre più veloce, fino ai limiti del rischio. 

Alla fine del gioco, Pablo Picasso, dopo averla attentamente osservata, chiede a Dora di regarlargli i guanti. “Lo más antes posible”. Era già tutto compiuto.

Vivere con Picasso voleva dire conoscere la vera natura anche della sua arte, così invadente da oscurare anche quella di Dora. Ben presto l’artista francese abbandonò la fotografia per cimentarsi anche lei nella pittura -con scarsi risultati, diceva Picasso-.

E ben presto capì che quella passione verace che lui le dimostrava non aveva proprio alcuna esclusiva. Per sette anni d’amore Dora Maar dovette condividere il suo amore per Picasso con le sue numerose meravigliose infelici amanti.

Sedevano al tavolo anche insieme, lei e loro, lui e loro: l’umiliazione dell’amore che portò la sua ex moglie ad impiccarsi, l’amante Jacqueline Roque a spararsi alla tempia, Dora ad impazzire. 

Era quello stesso gioco delle dita che aveva fatto Dora quello che Picasso faceva con le vite degli altri; era la minuzia, l’amore macabro, l’ombra di una storia nelle storie. Era la stessa trama meschina e composta con cui faceva i suoi quadri. Era per questo valzer infernale che sceglieva di regalare gli stessi abiti alle amanti e farle incontrare, che le sedeva allo stesso tavolo, che sceglieva di risolvere la pazzia del proprio genio lasciando impazzire loro.

La disperazione di Dora Maar era la stessa passione che lo legava a lui. Ma si sa, l’amore non si mischia con la paura; e così quel tremore che prima teneva vivo anche il fuoco che la bruciava divenne soltanto vento sfavorevole per fiamme fragili. 

Iniziò a scolorirsi anche l’amore che lei credeva vivo, mentre l’arte e le storie di Picasso continuavano ad intrecciarsi a nuovi reticoli. Quando il pittore cubista incontrò Francoise Gilot, Dora Maar mollò definitivamente la presa. Era un inferno che non aveva più nulla da bruciare. 

Dora impazzì, letteralmente. Tra le cure di Lacan e gli elettroshock Picasso scommetteva il suo suicidio. E, invece, non lo fece. In fin dei conti aveva soltanto lasciato morire un amore suicida, lei era sempre rimasta viva. Quando finì il loro amore, piano piano, semplicemente se lo ricordò. 

Che quel gioco fosse stato fatto con le dita del suo destino, e che vivere all’ombra di Picasso non fu mai un’eclissi ma soltanto un tramonto.

Era una storia tra le dita, e tra dita il pugnale. 

 

Rossella Papa