Giornalista, poeta, drammaturgo e anche regista. Una carriera poliedrica quella di Pier Paolo Pasolini, che, a livello cinematografico, possiamo con cognizione di causa definire l’ultimo dei neorealisti italiani. La sua attività dietro la macchina da presa comincia appena dopo il Neorealismo, rimanendone coerente ai temi, e continua fino a metà degli anni Settanta.
Pier Paolo Pasolini: dal Neorealismo al grottesco
Accattone (1961)
La prima prova registica di Pasolini può considerarsi una trasposizione dei suoi precedenti lavori letterari. L’accattone del titolo è infatti Vittorio Cataldi (Franco Citti), un uomo che, per tirare avanti, vive di tutti gli espedienti possibili e si fa mantenere da una prostituta.
Sullo sfondo delle periferie capitoline si articolano le vicende di Vittorio, vittima di un sottoproletariato che costringe all’immobilità e all’impossibilità di cambiare la propria condizione di vita, se non con la morte.
Mamma Roma (1962)
Questo film si differenzia dal precedente per la figura di Mamma Roma (Anna Magnani), che non è trasposta da alcun romanzo pasoliniano. L’opera cinematografica risulta perciò essere più complessa e ricca, ma non si distanzia dal destino comune dei personaggi tipici di PPP. Mamma Roma, infatti, tenta di cambiare la propria condizione sociale e quella del figlio, ma i tentativi, oltre che vani, finiranno in tragedia.
Medea (1969)
Nelle vesti della madre e moglie tradita che per vendetta uccide i propri figli troviamo Maria Callas, splendida esponente della lirica italiana e perciò perfetta nelle vesti di un personaggio epico-tragico.
Con questa opera Pasolini si allontana dai sentieri del Neorealismo per affacciarsi sulle sponde della Grecia classica, immergendosi nei poemi epici e nelle tragedie più famosi (precedente a Medea c’è infatti Edipo re, girato nel 1967).
Il Decameron (1971)
Questo film è ovviamente ispirato al Decameron di Giovanni Boccaccio, e, assieme ai successivi I racconti di Canterbury (1972) e Il fiore delle Mille e una notte (1974), compone la Trilogia della vita.
Con quest’opera, inoltre, Pasolini si discosta dal precedente filone epico e inaugura quello che verrà successivamente definito decamerotico. Ai temi e alle trame della letteratura italiana, infatti, viene aggiunta una preponderante dose di erotismo.
Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975)
Il film è l’ultimo realizzato da Pasolini, e avrebbe dovuto essere il primo lungometraggio di un nuovo ciclo di opere, la Trilogia della morte, la cui realizzazione fu interrotta dalla morte dell’artista.
Il film è una fortissima critica allegorica al regime fascista (appartenente al filone Nazisploitation, o nazi-erotico), e incrocia il romanzo di De Sade Le 120 giornate di Sodoma all’Inferno dantesco. Per le fortissime scene di violenza, tortura e i vari nudi presenti, l’opera è ancora oggi oggetto di critiche e censure.
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