Quando si parla di politica linguistica del fascismo si fa riferimento a un preciso disegno politico del regime che mirava alla diffusione della lingua italiana; attraverso un intervento di stampo purista, l’obiettivo era quello di eliminare forestierismi e dialetti con lo scopo di diffondere un’ italianizzazione assoluta della lingua. Nel nuovo appuntamento della rubrica Parole dal Mondo, in occasione della Giornata della Memoria, l’importanza della lingua all’interno del regime; il linguaggio come strumento di coesione nazionalistica e la campagna politica contro i barbarismi.
La politica linguistica all’interno del fascismo: il processo di italianizzazione e i punti politici perseguiti
L’intento della politica linguistica del fascismo nasce da un obiettivo fondamentale: la corretta diffusione della lingua italiana, simbolo di unificazione e nazionalismo. Un concetto nato da alcune evidenze risalenti ai primi anni del Novecento; in questi anni, infatti, le masse erano solite esprimersi specialmente in dialetto. L’alfabetizzazione era scarsa e i ceti popolari non avevano accesso a libri, giornali o a qualsiasi mezzo che prevedesse una corretta elargizione della lingua. Non era infatti improbabile che, spesso, residenti di regioni diverse non si capissero pensando di conversare, apparentemente, con idiomi differenti.
L’unificazione dell’italiano come lingua parlata si diffuse, successivamente, tramite l’introduzione della radio, del cinema e della televisione. La politica linguistica del fascismo, in questa circostanza, mirava alla lotta di ogni tipo di dialetto, barbarismo o minoranza linguistica; il corretto uso dell’italiano era strumento fondamentale di coesione del popolo nonché difesa del nazionalismo, punto cardine della politica riguardante il regime fascista. I punti principali della politica linguistica del fascismo erano:
- L’italianizzazione dei cognomi non italiani: la legge fascista prevedeva l’italianizzazione di un cognome ritenuto di origine italiana, senza il consenso dell’interessato. Se, per esempio, il cognome era palesemente straniero, il processo di resa in italiano era ”facoltativo” ma ”consigliato”; tuttavia, qualora il soggetto avesse deciso di mantenere il cognome di origine, poteva anche arrivare a incorrere in alcune ripercussioni; è il caso di aveva cariche pubbliche, subendo blocchi nella carriera.
- Italianizzazione dei toponimi: fenomeno riscontrato, in particolar modo, in Alto Adige, Piemonte e Valle D’Aosta.
- Sostituzione di termini stranieri di uso comune: non era possibile, infatti, pronunciare forestierismi provenienti da altri idiomi. Un esempio conclamato di questa sostituzione fu l’utilizzo di acquavite per ordinare brandy o whisky.
Il ruolo di Giovanni Gentile e la prima scuola di dizione: il problema di uniformare un’unica cadenza
La politica linguistica del fascismo si concretizzava, soprattutto, nella lotta dei dialetti che, a quel tempo, erano utilizzati anche a scuola. Erano molti gli intellettuali che appoggiavano il processo di italianizzazione fascista, a cominciare da Giovanni Gentile; il noto filosofo e accademico italiano vedeva nel concetto di italianizzazione del regime una vera e propria opportunità per la lingua italiana: recuperare un registro linguistico ormai deitalianizzato dall’introduzione di parole provenienti da paesi stranieri. C’è però da aggiungere che la riforma scolastica di Giovanni Gentile del 1923 non era ostile alla forma dialettale; a quei tempi il dialetto era usato da allievi e insegnanti e, addirittura, i libri di testo delle elementari, famosi come Almanacchi, presentavano le traduzioni dal dialetto all’italiano.
Solo nel 1925 la lingua dialettale iniziò a considerarsi come un ostacolo per l’unificazione progettata dalla politica linguistica del fascismo così fu censurata anche, e sopratutto, dall’insegnamento. Successivamente, la nascita della radio (1924), la musica, le riviste e specialmente l’industria cinematografica contribuirono a veicolare il corretto utilizzo della lingua. Tramite l’aiuto dell’Istituto Luce, il regime fascista progettò anche un severo controllo dei cinema, non solo più della stampa. Nacque quindi il problema della cadenza, del tono, della dizione. La politica linguistica fascista era incentrata sull’eliminazione di qualsiasi matrice che ottenebrava la purezza del regime; a tal proposito, anche la dizione doveva essere uniforme. A Roma, dove ora sorge Cinecittà e negli anni 30 si collocava la prima stazione radiofonica, nacque la prima scuola di dizione. Si impose una pronuncia basata sulle regole del parlato romano, estromettendo le precedenti regole del toscano.
Regime, parole straniere e italiano: la ”Bonifica linguistica” e i neologismi di Gabriele D’Annunzio
La situazione stava sempre più inasprendosi tanto che, a partire dalla metà degli anni ’20, sopraggiunsero articoli, antologie e rubriche in difesa della lingua italiana. E’ il caso di Paolo Monelli che nel 1933 introdusse la rubrica “Una parola al giorno” sul quotidiano torinese la Gazzetta del Popolo, successivamente conclusasi con la pubblicazione del libro Barbaro dominio (1933). L’obiettivo erano sempre uno: ripulire la lingua italiana dalle influenze straniere che deturpavano la sua purezza primordiale, cozzando con il processo di unificazione auspicato dal regime. Paolo Monelli condannava i francesismi, per lo più, ma solo perché erano più diffusi. Ammetteva, invece, solo alcuni termini in lingua inglese. I termini anglosassoni ammessi erano:
- bar, barista, sport, jazz, pic-nic, snob; mentre sex-appeal e girl erano ritenuti idonei per riferirsi a donne militanti all’interno dei varietà.
Le parole condannate dal Monelli, con tanto di esempi di termini da utilizzare in italiano, erano:
- Film= Pellicola;
- Clown= Pagliaccio;
- Match = Partita;
- Star= Stella;
- Toast = Crostino;
- Club = Circolo;
- Detective = Investigatore;
- Game = Gioco;
- Budget= Bilancio.
Gabriele D’Annunzio fu uno dei numerosi intellettuali che aderì alla politica linguistica del fascismo, contribuendo lui stesso alla creazione di alcuni neologismi; è il caso del celebre tramezzino inventato a Torino,dal Vate, durante una visita al Caffè Mulassano nel 1925. E ancora, il Corpo Nazionale dei Pompieri: durante il regime fascista, nel 1938, D’Annunzio suggerì di modificare il nome Vigili del Fuoco, ispirandosi alla figura dei vigiles risalenti all’Antica Roma. Un altro degli innumerevoli termini da lui coniati è arzente, per riferirsi a un liquore qualsiasi; arzente è una variante dell’aggettivo ardente.
La politica linguistica e il fascismo: le liste della Reale Accademia d’Italia
La situazione iniziò a diventare più rigida in seguito a una legge datata 23 dicembre 1940. La politica linguistica del fascismo vietava, ufficialmente, l’utilizzo di forestierismi all’interno dei documenti ufficiali, nelle insegne dei negozi, nell’affissione dei manifesti: la pena consisteva nell’arresto fino ai sei mesi con un’ammenda conseguenziale di 5000 Lire. Qui, faceva il suo ingresso la Reale Accademia d’Italia istituita dal regio decreto-legge del 7 gennaio 1926 ma inaugurata nel 1929 e operante fino al 1944.
Con la Legge 755 del 1939 la Reale Accademia d’Italia entrava in possesso del patrimonio dell‘Accademia Nazionale dei Lincei; compito dell’Accademia era sorvegliare i registri linguistici affinché non fossero contaminati da ulteriori lessici stranieri e redigere un vocabolario ufficiale della lingua. Questo compito, affidato a Giulio Bertoni, si protrasse fino al 1941 anno in cui uscì il primo e unico volume in quanto l’opera si interruppe in seguito alla caduta del fascismo. Di seguito, alcuni esempi di termini sostituiti:
- Hotel= Albergo;
- Garage= Autorimessa;
- Bar= Mescita;
- Dancing = Sale da Danza;
- Alcole= Alcole;
- Gangster= Malfattore;
- Pullman= Corriera;
- Pullover= Maglione;
- Insalata russa = Insalata Tricolore;
- Parquet= Tassellato;
- Brioche = Brioscia;
- Champagne = Sciampagna;
- Dessert = Fine Pasto;
- Croissant = Cornetto;
- Cocktail: Bevanda Arlecchina.
Stella Grillo
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