Roma, 1943: l’occupazione nazista della città è da poco realtà e i suoi cittadini sopravvivono come meglio possono. Mimmo Adami (Alberto Sordi) e Dea Dani (Monica Vitti) sono tra i tanti. La loro compagnia di teatranti, la Compagnia Comica Mimmo Adami è alla canna del gas. Ai guitti non resta che accettare l’unica offerta disponibile: esibirsi nell’Abruzzo appena bombardato.
Tra umiliazioni, furti, fame nera e mille peripezie la tournèè li porta fino a Bari, città già liberata dagli Alleati. Qui i nostri si illudono di aver trovato una sistemazione grazie allo spettacolo “Polvere di stelle” a beneficio dei soldati americani. Ma la storia prosegue il suo corso e la liberazione di Roma e il ritorno in scena di compagnie ben più quotate li trascinerà nuovamente nella polvere.
“Polvere di stelle”: l’omaggio di Albertone alla storia
Forse non il migliore ma senza dubbio il più famoso film di Sordi regista, “Polvere di stelle” è una pellicola ondivaga, a due tempi, mossa da due anime che non sempre si conciliano in maniera organica. Sordi non tradisce alcuna ambizione o interesse a misurarsi con uno come Fellini, che su certe tematiche e immaginari ha già scritto pagine indimenticabili. Il suo scopo è un altro, per quanto ambizioso, complesso e non perfettamente centrato. Il suo vuole essere il tributo a un’epoca disperata, complessissima, la stessa che per spazio e tempo lo ha visto formarsi come uomo di spettacolo.
In questo senso la sceneggiatura, scritta a sei mani con Ruggero Maccari e Bernardino Zapponi, può risultare troppo verbosa e carica di eventi, infinita, per quanto spietatamente lucida nel cercare di raccontare il caos specifico del periodo. Il tutto prende davvero il largo nel momento in cui le redini della narrazione vengono lasciate andare e cedute alla sua anima più caciarona e volgare. Alla pancia, insomma, quella festa dell’”occhiolino al cattivo gusto” che è anche e soprattutto un necessario e quotidiano rituale di esorcismo dagli orrori della guerra.
Monica uber alles
Molto meglio, da un punto di vista narrativo, quando la Storia si fa un po’ da parte e lascia spazio alle sue emanazioni e soggettività. Qui entra in scena il lato più puramente “ da rivista” del plot, con tutti i suoi sottintesi e non detti di nostalgia, omaggio al quell’avanspettacolo tanto formativo per il Sordi degli inizi, fracassonate un tanto al chilo. Non sono certo un caso i cammei di Carlo Dapporto e Wanda Osiris nei loro stessi panni di trent’anni prima. Alberto Sordi e un’immensa Monica Vitti riescono a integrarsi alla perfezione in questo gioco al rilancio infinito, all’azzardo ulteriore, alla disperazione come motore primo della loro comicità.
Le indimenticate musiche di Piero Piccioni fanno il resto. “Ma ‘ndo Hawaii”, con il testo scritto dallo stesso Sordi, ne è di fatto l’esempio più lampante. Entrata a far parte dell’immaginario popolare ben oltre la sua specifica natura filmica, a cinquant’anni di distanza mantiene intatta la sua spinta gioiosa, volgare e buffonesca. E’ senza dubbio questo il merito maggiore della pellicola: essersi garantita un piccolo spazio di immortalità. Monica Vitti per la sua travolgente interpretazione vincerà un David di Donatello per la miglior interpretazione femminile.
Andrea Avvenengo
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