Nella lotta alla crisi climatica, l’adozione di una dieta a base di proteine vegetali è sempre più centrale. L’attuale sistema alimentare prevede la centralità degli allevamenti intensivi, che però hanno un grande impatto in termini di emissioni e di sfruttamento delle risorse. Se è vero, però, che le proteine alternative a quelle animali possono essere delle buone alleate, è vero anche che devono fare i conti con la richiesta del mercato.

Proteine animali – Photo Credits BCG

Proteine vegetali: la ricerca di Boston Consulting Group

L’allevamento animale è responsabile del 15% delle emissioni globali e le persone ne sono sempre più consapevoli. I consumatori sono sempre più attenti alla sostenibilità dei prodotti che acquistano, ma allo stesso tempo sono alla ricerca di alternative che soddisfino dei criteri precisi: salute, gusto e prezzo. Questo è quanto emerge dal report “The Untapped Climate Opportunity in Alternative Proteins” realizzato da BCG su sette paesi in Nord America, Asia, Europa e Medio Oriente.

Quali sono, quindi, le intenzioni di acquisto dei consumatori? Le prime evidenze rispecchiano che il 76% ha familiarità con le alternative vegetali, mentre il 50% degli intervistati ha aumentato il consumo di proteine vegetali a seguito della pandemia, principalmente per motivi di salute. Il 31% dei consumatori considera l’impatto positivo sul clima il motivo principale per passare a una dieta totalmente vegetale, ma nessuno sarebbe disposto a pagare un sovrapprezzo a parità di gusto. La salute rimane la motivazione principale per tre quarti degli intervistati.

Quella vegetale è la dieta giusta per il clima

Secondo uno studio portato avanti da Michael B. Eisen e Patrick O. Brown e pubblicato su Plos Climate, la rapida eliminazione globale dell’agricoltura animale ha il potenziale per stabilizzare i livelli di gas serra per 30 anni e compensare il 68% delle emissioni di CO2 di questo secolo. Ciò avverrebbe anche in assenza di eliminazioni in altri settori: il calo dei livelli atmosferici di metano e protossido di azoto, tipici dell’allevamento animale, avrebbero lo stesso effetto cumulativo sul potenziale di riscaldamento dell’atmosfera come riduzione di 25 giga tonnellate all’anno delle emissioni antropogeniche di CO2.

In questo modo, si avrebbero la metà delle riduzioni nette delle emissioni necessarie per limitare il riscaldamento a 2°C. Per questo motivo bisognerebbe mettere in prima linea la riduzione o l’eliminazione dell’agricoltura animale come strategia per evitare il disastro climatico.

Martina Cordella