Il Canto III del Purgatorio si divide strutturalmente in tre parti. Alla prima corrisponde il rimprovero di Virgilio a Dante, e il discorso sulla giustizia. Nella seconda, incontriamo le anime dei contumaci. Nella parte finale, assistiamo invece al colloquio col protagonista dell’episodio, Manfredi di Svevia.

I tre momenti sono strettamente legati dal punto di vista tematico.Ruotano, infatti, intorno al complesso e delicato problema della grazia e della giustizia divina imperscrutabile. È un tema centrale nel poema, già affrontato nell’episodio di Ulisse, il cui folle volo oltre le colonne d’Ercole, costituiva il superamento dei limiti della ragione umana; peccaminoso, e punito con la morte. La ragione infatti può condurci alla sola felicità terrena, al possesso delle virtù cardinali, che però non assicurano la salvezza eterna per la quale è indispensabile la grazia divina.

Canto III il rimprovero di Virgilio e discorso sulla giustizia

Avevamo lasciato Dante e Virgilio mentre correvano insieme alle anime verso la montagna del Purgatorio; disordinatamente, dopo il rimprovero di Catone, come quando i colombi, che stanno beccando tranquillamente il loro pasto, sono spaventati da qualcosa e volano via d’improvviso. Dante si stringe a Virgilio, che intanto rallenta, ed è preso egli stesso dal rimorso per essersi lasciato affascinare dal canto di Casella. Il poeta si accorge all’improvviso che sul terreno c’è solo la sua ombra e non quella di Virgilio, cosa che non avrebbe potuto notare nel buio dell’inferno, quindi si volta a lato col terrore di essere abbandonato.

Il maestro è lì, e lo rimprovera perché continua a diffidare, e a non credere che sia accanto a lui per guidarlo. Virgilio, spiega, che il corpo mortale nel quale lui faceva ombra riposa a Napoli, quindi Dante non deve stupirsi che la sua anima non proietti un’ombra. La giustizia divina fa in modo che i corpi inconsistenti delle anime soffrano tormenti fisici, in un modo che non vuole che si sveli agli uomini, per cui è folle chi spera con la sola ragione umana di poter capire i misteri della fede. La gente deve accontentarsi di ciò che è stato rivelato, perché se avesse potuto veder tutto non sarebbe stato necessario che Gesù nascesse. Grandi filosofi hanno desiderato vanamente di conoscere questi misteri, e il loro ingegno glielo avrebbe permesso se ciò fosse stato possibile, mentre ora tale desiderio è la loro pena. Virgilio si riferisce ad Aristotele e Platone ; poi resta in silenzio, china la fronte e rimane turbato.

Canto III Dante e Virgilio incontrano le anime dei contumaci e Manfredi- immagine divinacommedia.weeby.com
Canto III Dante e Virgilio incontrano le anime dei contumaci e Manfredi- immagine divinacommedia.weeby.com

Incontro con le anime dei contumaci

I due poeti giungono intanto ai piedi del monte e vedono che i costoni sono troppo ripidi, perché si possa iniziare l’ascesa. Dante vede sopraggiungere dalla sua sinistra una turba di anime che avanza molto lentamente e va loro incontro per chiedere informazioni sulla giusta via. Alla vista dei due poeti le anime si fermano timorose per la presenza di un vivo e rispondono soltanto dopo essere state rassicurate da Virgilio. Con il dorso della mano, fanno segno ai due poeti di voltarsi e di precederli.

Manfredi

A questo punto una delle anime si rivolge a Dante e lo invita a guardarlo, per capire se lo ha mai visto sulla Terra. Il poeta lo osserva e lo guarda con attenzione, vedendo che è biondo, bello e di nobile aspetto, e ha uno dei sopraccigli diviso da un colpo. Dopo che il poeta gli ha risposto di non averlo mai visto, il penitente gli mostra una piaga che gli attraversa la parte alta del petto, quindi di presenta come Manfredi di Svevia, nipote dell’imperatrice Costanza d’Altavilla. Egli prega Dante, quando sarà tornato nel mondo, di dire a sua figlia Costanza la verità sul suo stato ultraterreno.

Canto III Manfredi immagine terzopianeta.info
Canto III Manfredi immagine terzopianeta.info

Manfredi racconta che dopo essere stato colpito a morte nella battaglia di Benevento, piangendo si pentì dei suoi peccati, e nonostante le sue colpe fossero gravissime, fu perdonato dalla grazia divina. Male fece il vescovo di Cosenza, istigato da papa Clemente IV, a far disseppellire il suo corpo, e a farlo trasportare fuori dai confini del regno di Napoli. La scomunica della Chiesa, infatti, non impedisce di salvarsi finché c’è pentimento. Chi muore in contumacia deve poi attendere nell’Antipurgatorio un tempo superiore trenta volte al periodo trascorso come scomunicato, a meno che qualcuno con le sue preghiere non accorci questo periodo. Manfredi prega dunque Dante di rivelare tutto questo alla figlia Costanza, affichè lei, con le sue preghiere, abbrevi la sua permanenza nell’Antipurgatorio.

Cristina Di Maggio

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