“La retorica è allora davvero una questione di vita o di morte, e non vuoto ornamento o discorso vuoto come vuole la condanna corrente, una via paradossale attraverso la quale si può arrivare, attraverso la costruzione più sofisticata, a dire qualcosa che somiglia alla verità”. Quella verità che “Quasi nemici – L’importante è avere sempre ragione” racconta attraverso la storia di una sfavillante lezione di retorica, un duello a colpi di eloquenza per affermare che «La verità non importa, ciò che importa è avere sempre ragione» come cerca di spiegare il cinico e intollerante professore Pierre Mazard, interpretato da Daniel Auteuil, a Neïla Salah (Camélia Jordana, cantante e miglior attrice emergente ai César, già nella commedia Due sotto il burqa), giovane studentessa di origine araba.
Tra il losco figuro retorico, privilegiato e cinico che incontra e si scontra con la ragazza d’origine araba, dalla banlieu di Créteil, si instaura una relazione pedagogica intensa e radicale. Fra punte comiche e scintille di tensione discorsiva, gli attacchi del professore e la verve della studentessa non disposta a farsi umiliare, creano il brio che pervade tutto il film. Analisi perspicace del dominio della parola sul pensiero di Schopenhauer.
Il potere della parola e l’arte di darle nuova forma in un film sociale e brillante
L’importanza delle parole e l’arte di dar loro sempre nuova forma, l’ammonimento morettiano, anche troppo spesso abusato, riesce ad emergere in nuova veste attraverso la pellicola di Yvan Attal, interprete di oltre quaranta film e qui al suo settimo film da regista. Attal definisce Quasi nemici un film “al tempo stesso politico e sociale, ma anche leggero e brillante”. “Quasi nemici – L’importante è avere sempre ragione” ci riconnette alla magia quasi alchemica del linguaggio. Le parole e il cuore vivace e vivo che hanno, in grado di distruggere, emancipare e salvare al tempo stesso.
Con i tempi e i luoghi della commedia e quella panache che è brillantezza e spirito insieme, la storia di Attal riesce a catturare l’animo intimo del rapporto col mentore, della carica della giovane Neïla vogliosa di dar prova di coraggio e seduzione oratoria recitando Shakespeare nella metro o implorando credito in un bistrot. Dopo tutto la provocazione è esperienza maieutica, un processo che porta a nuova consapevolezza di sé, il controllo dell’emotività, la parola come strumento di sopravvivenza e di emancipazione. In tal senso la parola può così salvare e il film di Attal partorisce una profonda verità: ciò che conta, nella società, non è la vittoria verbale ma soprattutto quella basata sui fatti.
Arianna Panieri
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