Rayan non ce l’ha fatta: dopo 100 ore di soccorsi disperati estratto senza vita dal pozzo

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Di Redazione Metropolitan

Oltre cento ore a 32 metri sotto terra, inghiottito da un pozzo strettissimo, in alcuni punti di soli 20 centimetri di diametro, ha lottato per rimanere vivo, ma Rayan non ce l’ha fatta.

Il piccolo Rayan, 5 anni, che per quattro giorni ha tenuto con il fiato sospeso il Marocco ed il mondo intero, mentre una mega operazione di soccorso cercava di salvarlo, è morto. La notizia è rimbalzata, come una doccia fredda, dopo una decina di minuti da quelle immagini, convulse, rilanciate dalle dirette delle tv che per giorni hanno seguito i soccorsi. Quelle immagini che raccontavano che il bambino era stato recuperato, estratto da quel maledetto pozzo, che avevano fatto tirare un sospiro di sollievo. Lasciando intendere che potesse essere in salvo.

Ma la nota della stessa casa Reale del Marocco ha gettato nello sconforto: Rayan è deceduto per le ferite riportate nella caduta nel pozzo.

Ma quando sembrava che il dramma si avviasse a una conclusione felice, è arrivata la notizia tanto temuta: il bambino non ce l’ha fatta. Così come non ce la fece Alfredino Rampi, una storia simile a questa che risale al 1981 quando, vicino a Vermicino, il bimbo di 6 anni era caduto in un pozzo e i soccorritori non sono riusciti a salvarlo: “Drammatico vedere che la storia si ripete”, ha detto Daniele Biondo, presidente dell’associazione intitolata ad Alfredino. “Chi ha gestito la vicenda di Rayan forse ha ripetuto gli errori del passato fatti in Italia a Vermicino – ha aggiunto Biondo – All’epoca la presenza di tante persone sul posto fu uno degli ostacoli, non solo fisici ma anche psicologici, per i soccorritori messi sotto pressione, così come si è vista tutta quella calca sul posto a Chefchaouen”.

A cominciare da Ali El Jajaoui, arrivato da Erfoud, ormai divenuto l’eroe del deserto: quell’uomo, di professione specialista di pozzi, che appena appresa la notizia del bimbo è subito partito dal sud del Paese per raggiungere il villaggio di Rayan. E ha scavato per ore e ore senza fermarsi, a mani nude dopo che un imponente lavoro di 5 escavatori aveva aperto una voragine che ha permesso si arrivare alla profondità in cui si trovava il bambino. E permesso di realizzare una v ia di fuga attraverso la posa di tubi che, posizionati orizzontalmente, hanno creato quel passaggio che doveva rappresentare la salvezza. E che invece si è trasformato in un mesto ultimo percorso di Rayan dalla sua trappola.

Rayan in questi giorni è stato monitorato da alcuni telefonini con videocamera, gli sono stati forniti cibo e acqua. Suo padre ieri ha detto di essere riuscito anche a sentire alcuni rumori: il figlioletto respirava a fatica. Aveva ferite alla testa, chiamava la mamma.