Se dovessi guardare la mensola dove ho riposto tutti i miei videogiochi, posso notare con estrema facilità che molti dei titoli che posseggo, per Playstation 4, sono remake o edizioni remastered.
Con altri due grandi titoli, che hanno fatto la storia videoludica degli anni Novanta, in arrivo (parlo di Final Fantasy VII e Resident Evil 3) questa generazione di console verrà ricordata anche per il fatto di essere stata quella che ha ospitato più rifacimenti di opere passate.
Remake: tornaconto o necessità?
Ottima strategia di marketing oppure una necessità per l’industria videoludica? Io azzarderei a dire che si tratta di entrambe le cose e che la vera risposta non l’abbiamo noi aficionadons, bensì le software house che sviluppano remake per motivi diversi.
Che sia un modo per le software house di fare soldi, dopo un grande e dispendioso lavoro di creazione ex novo, è indubbio. Basta vedere i numeri di vendita fatti da titoli come il remake di Resident Evil 2, oppure la trilogia di Crash Bandicoot uscita nel 2017 e il successivo Crash Team Racing Nitro-Fueled: hanno avuto così tanto successo da permettere alle software house e le terze parti coinvolte di mettere sul mercato altri remake o nuovi titoli.
Resident Evil 3 Remake è realtà perché, come detto dal producer Yoshiaki Harabayashi, è dipeso dall’entusiasmo dei fan. In soldoni: Più Resident Evil 2 venderà, più ci saranno le basi per gettare un nuovo lavoro. E così è stato, Resident Evil 3 è frutto di uno sviluppo repentino non esente da qualche miglioria e upgrade grafico rispetto al suo predecessore.
A meno che Capcom non abbia in serbo altri remake (qualcuno ha parlato di Dino Crisis? Oh, sarebbe magnifico!), la software house giapponese ha ottenuto la fiducia dei fan per poter esplorare e lanciare sul mercato anche qualcosa di nuovo.
Super Mario: dal 1985 ad oggi segno dell’innovazione videoludica
I remake sembrano aver acquistato popolarità sono negli ultimi anni, complice l’accanimento mediatico che si fa su questo tipo di prodotti.
In realtà è un fenomeno presente in tutte le generazioni di console casalinghe: basti pensare a tutte le killer app di Nintendo.
Quanti rifacimenti hanno i titoli di Super Mario? Il simpatico idraulico italiano, che fa il suo debutto nel 1985, ha sempre avuto continui rifacimenti non solo per accompagnare una nuova console all’uscita e quindi dimostrare la potenza di quest’ultima (il passaggio da Super Mario Land a Super Mario 3D Land per esaltare le caratteristiche 3D del piccolo handheld Nintendo 3DS) ma anche per attirare a sé due fette di mercato: i videogiocatori più giovani e gli appassionati, sensibili all’innovazione tecnologica e alle prestazioni del loro prodotto preferito.
I remake di Super Mario (ma anche la saga di Legend of Zelda) diventano così le killer app che saranno sempre presenti nel catalogo Nintendo perché mostrano la piena potenza della console che le ospita.
Ma i remake sono davvero necessari? Sì, tanto quanto le remastered edition. Le tanto chiacchierate remastered che popolano gli scaffali dei negozi sono state per le software house quasi una salvezza soprattutto quando si trattava di “aggiustare” alcune politiche di mercato secondo me errate.
Remastered Edition: il trampolino di lancio per qualcosa di più
Le remastered edition servono ad unire – spesso in una unica uscita – diversi titoli in precedenza sparsi in tante console differenti. Un esempio lampante è la saga di Kingdom Hearts, per anni divisa su diverse console il che rendeva difficile il suo recupero. Dovevi necessariamente disporre di tutte le console per unire i pezzi del puzzle della storia, già di per se intricata, di Sora, Paperino e Pippo. Con un’unica remastered in HD invece, potevi avere ben sei titoli (tra sequel e spin-off) a portata di mano su un’unica piattaforma, con un risparmio davvero considerevole.
Anche il primo capitolo di Shenmue, storico videogioco curato da Yu Suzuki e pietra miliare del panorama videoludico, è sempre stato difficile – almeno per me – da ottenere vista la scarsa reperibilità di Dreamcast. Con l’uscita di Shenmue III, i primi due Shenmue hanno goduto di un rifacimento grafico e sono usciti in un unico cofanetto sulle moderne console. Questo ha dato la possibilità ai vecchi appassionati e nuovi – a chi, come me, che voleva finalmente fare esperienza della storia di Ryo Hazuki – di affezionarsi ad un nuovo titolo. Non saprò cosa significa giocare al primo open world nel 1999, ma poco male.
Diverso discorso sono per quelle software house che ormai puntano la loro politica di progettazione del scovare titoli di nicchia ormai introvabili, e riportarli alla luce. Parlo di Nightdive Studios (ne ho parlato recentemente qui, è curata da loro la versione restaurata di Blade Runner) che ha remasterizzato titoli come System Shock (antenato del più celebre Bioshock) o il kafkiano Bad Mojo.
Essendo la natura di questi titoli molto settoriale e circoscritta, non ci si aspettano larghi guadagni: tuttavia, in questo caso vige la funzione nostalgica dei rifacimenti delle vecchie opere, per garantire a tutti la possibilità di provare un titolo ormai non più riproducibile sulle nuove macchine. E chissà, magari può risvegliare anche l’interesse dei grandi publisher.
I remake sono, quindi, necessari per l’industria videoludica. Per la fidelizzazione di un brand (si parla di Brand Loyalty), per dare agli appassionati quello che all’epoca solo immaginavano con la fantasia, per avvicinare i nuovi appassionati, anche per avere una base sicura da parte delle software house.
I remake possono anche essere un ponte tra diversità culturali: un brand molto legato alla cultura nipponica come Yakuza ha trovato poco terreno fertile in Occidente per via di differenze culturali eppure l’oculata operazione di remake dei primi due capitoli della saga, le curate edizioni fisiche (con steelbook e artbook esclusivi), hanno fatto gola tra gli acquirenti e le buone vendite (di certo non sensazionali) del prodotto hanno fatto sì che Yakuza 6: A Song of Life fosse pubblicato anche in Occidente (e anche il successivo Yakuza 7, atteso nel corso dell’anno).
Ad oggi lo sviluppo dei videogiochi richiede risorse di qualsiasi tipo: monetarie, umane, di tempo. La posta in gioco è alta: essendo un mercato sempre più saturo, si ha la paura di sbagliare o di mettere sul mercato qualcosa di già visto.
Final Fantasy XV dopo anni di travagliato sviluppo e continui rinvii è uscito sul mercato facendo vendite discrete ma senza far breccia sugli storici appassionati della saga, nonostante la grande libertà di esplorazione, le tonnellate di easter eggs e che dir si voglia. E’ stata forse la troppa innovazione ad allontanare i puristi di Final Fantasy, comunque ciò non ha decretato la poca influenza di Final Fantasy XV sul remake del settimo capitolo, anzi: Square Enix tornerà in pompa magna con un – seppur “stravolto” – Final Fantasy VII perché sa che anche il videogiocatore più scettico vorrà provarlo.
Reboot: reinventarsi dal passato…
C’è ancora molta confusione tra remake e reboot, invece. I reboot sono dei rifacimenti completi dei brand più famosi. E’ come se si riscrivesse la storia da zero: negli ultimi anni Square Enix lo ha fatto con Tomb Raider.
I reboot sono necessari quando un franchise raggiunge il suo apice e non ha più nulla da aggiungere alla sua storia. La vecchia Lara è, quindi, andata in pensione salvo delle apparizioni nella serie dal titolo Lara Croft sempre curata da Square Enix, per far posto ad una più giovane Lara e un rimodernato gameplay. Seppur molti criticano i reboot, io li trovo quasi necessari poiché così non vanno a rovinare delle icone del passato entrate nell’olimpo dei videogiochi, il brand può sopravvivere grazie ad una seconda identità che può garantirgli una maggiore libertà senza sentirsi in dovere di “rispettare” ciò che è stato.
Cosa ne pensate dei remake, dei remaster e dei reboot nel mondo dell’industria del gaming? Sono davvero così necessari secondo voi oppure ostacolano la voglia, da parte delle aziende, di mettersi in gioco con qualcosa di nuovo? Sono frutto di pigrizia creativa?
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