Un viaggio musicale in compagnia di Riccardo Sinigallia è un percorso mai prevedibile o lineare. Con lui camminiamo lungo un sentiero che d’improvviso devia, perché nuove strade prima nascoste appaiono ora come intuizioni tardive, canti di sirene da seguire senza troppa ragione.
E allora, con le sue canzoni che ci scorrono dentro, anche noi ci perdiamo per poi ritrovarci, tra rivoli di ricordi dolci e altri amari.
Spiando da buchi di serrature che rivelano luci e ombre, sorrisi, rabbie, nostalgie, pianti e sospiri. Emozioni che puntano sempre al centro, mirando al cuore.

A chi non conosce Riccardo, o crede di non conoscerlo ancora, ricordiamo: il nostro anti-eroe è attivo da tre decadi sulla scena musicale, negli ultimi vent’anni ha co-firmato e prodotto alcuni grandi successi della canzone italiana (“Due destini” e “La descrizione di un attimo” per i Tiromancino; “Vento d’estate” e “Lasciarsi un giorno a Roma” di Niccolò Fabi o “Cara Valentina” per Max Gazzè; uno stralcio di “Quelli che benpensano” di Frankie HiNRG), ponendo sempre in calce la sua “firma” creativa, quella sensibilità unica nel declinare sperimentazione timbrica, armonica e melodica al nuovo cantautorato italiano, di pari passo (specie nei suoi primi album solisti) a quanto immaginato e prodotto da una band come i Radiohead in Inghilterra.

“Ciao Cuore” è il suo quarto lavoro, arrivato a seguito di quel gioiello che fu “Per Tutti”, disco italiano del 2014 secondo il parere di molti giornalisti e addetti ai lavori.
Come si diceva, si tratta di un lavoro profondo, intenso, che non teme malinconie – perché non sfociano mai nel ‘melò’ più stucchevole – né ha paura di confondere carte e idee a livello di arrangiamenti, perché un filo conduttore c’è e gioca a scomparire e poi rivelarsi ancora.

Gli intermezzi strumentali incisi alla fine e all’inizio di quasi ogni brano, sono interferenze, corridoi immaginari tra una storia e l’altra, tra il personaggio precedente e il successivo. Stanze dalle porte socchiuse dove si muovono uomini, donne, bambini, ragazzini, padri, madri, amanti, bambinaie, lavoratori.

Le storie di Sinigallia sono andate in scena molti anni fa, oppure accadute da pochi minuti: la narrazione non è lineare, i testi si aprono a più interpretazioni. Senza didascalie o interpretazioni univoche. Piuttosto suggeriscono, evocano, dipingono suggestioni che diventano barche o maschere da sub per scoprire il suo mare.

9 brani per  34 minuti: il dono della sintesi è sempre stato un pregio dell’artista. Ritroviamo la strumentazione che è il suo segno distintivo: tastiere e synth, archi campionati, drum machine, chitarre (elettriche o acustiche) che non ammettono sterili virtuosismi, piuttosto tessono scenari all’orizzonte di un arpeggio.

Non ci troviamo nel territorio del pop preconfezionato, mercantile, omogeneizzato. Eppure almeno due brani (il primo singolo, “Ciao Cuore” e quello che probabilmente sarà il secondo, “Bella Quando Vuoi”) restano invischiati nella memoria e risultano piacevolmente fruibili. E anche altri pezzi, pur vibrando attraverso timbri scuri e sintetici, dopo ripetuti ascolti si lasciano scoprire e apprezzare. Il brano che da il titolo al disco rappresenta bene l’opera tutta: trame pop elettroniche che riescono a poggiare sull’emotività mettendo al centro della canzone il testo.

Massima libertà: è ciò che Sinigallia si concede stravolgendo la forma classica forma canzone per poi riprendere binari riconoscibili. Ci sono ballate al pianoforte, ritmi funky/soul con acuti e tipici fraseggi di chitarra in stile anni anni Settanta, divagazioni rock visionarie e delicate trame di chitarra acustica con aperture melodiche.

C’è l’amore per la compagna di una vita (“Niente mi fa come mi fai tu”); il ricordo di Dudù, la tata capoverdiana maestra di gioco, ballo e creatività; la gratitudine verso i tecnici di palco (“Backliner”), oppure il ritratto di femminilità frivole attraenti e respingenti (“Le donne di destra”). C’è la tristezza disillusa per la morte di Federico Aldrovandi (“Che male c’è”, ispirata da una lettera dell’attore Valerio Mastandrea), infine la sublime “A cuor leggero”, già tema del film «Non essere cattivo» di Claudio Caligari, che chiude il disco con l’invito ad abbracciarsi abbandonando i brutti pensieri, tutto ciò che non permette alle emozioni di fluire.

Le atmosfere sono come sospese, le sonorità e il cantato hanno la medesima consistenza di nuvole, ma la forza e l’urgenza espressiva che contengono conferiscono una forza straordinaria che le lascia fluttuare. Musica e parole hanno lo stesso peso, si sostengono a vicenda. Lo splendido lavoro di ricerca su suoni, timbri, colori, arrangiamenti e melodie ci racconta di un musicista fuoriclasse che, ci auguriamo, un giorno possa raccogliere davvero tutto il riconoscimento che il suo talento merita.

Ariel Bertoldo