Come la cultura tedesca si inserisce nella letteratura italiana? Berlino (e non solo) è sempre stato un ponte per la cultura internazionale, quella tedesca ad esempio degli anni ’30 rappresentava la modernità rispetto al panorama italiano. La censura, però, ha sempre irrigidito barriere culturali che avrebbero combinato costumi e culture differenti. Il ruolo della letteratura, soprattutto oggi, in un’ottica più libera e connessa, è fondamentale per abbattere i limiti che in passato differenziavano culture diverse. La cultura tedesca di quegli anni è attualmente raccontata, non soltanto rappresentata ma anche finalmente riportata alla luce in Italia da realtà editoriali come L’orma Editore a Roma. In particolare, i due editori Lorenzo Flabbi e Marco Federici Solari, hanno scelto di inserire l’autrice tedesca Irmgard Keun nella collana «Kreuzville Aleph» della loro casa editrice, a partire dalla pubblicazione non censurata dell’opera Gilgi, una di noi per la prima volta in Italia. È una conferma che dimostra la volontà de L’orma di confermare quanto le barriere culturali oggi non esistano.

Comprendere e trasportare in un sistema culturale differente Irmgard Keun è servito per ridare non soltanto valore alla sua opera e alla cultura tedesca ma anche dignità alla sua persona. In una chiave moderna, il rapporto tra Keun e la casa editrice romana ha segnato L’orma di una riscoperta unica, in una prospettiva più ampia che rivendica la libertà dalla censura storica ma anche oggi la libertà dai limiti culturali. Attraverso questa intervista ai due editori l’indagine sul rapporto con Irmgard Keun ha superato la circostanza letteraria e ha preso una direzione più ampia, tra le considerazioni della cultura tedesca in relazione ai contesti storici fino alle attuali concezioni di censura culturale. In questa conversazione si analizzano aspetti della cultura tedesca per alcune le motivazioni, le coerenze culturali di questo progetto nei suoi aspetti più trasversali.

L’intervista a L’orma editore

L’orma editore si occupa di pubblicare soprattutto traduzioni francesi e tedesche,ma perché avete scelto di ridare voce proprio a Irmgard Keun?

Marco Federici Solari:

Irmgard Keun si inserisce in una più generale ricerca di voci femminili del romanzo e della narrativa tedesca del Novecento, e non solo. L’orma diventa una realtà editoriale nel momento in cui Irmgard Keun veniva appena riscoperta; da poco era stata pubblicata anche in inglese ottenendo un notevole successo nel mondo anglosassone. È stata al centro di una riscoperta di critica e di pubblico. Tra le prime figure a cui abbiamo guardato per la nostra ricerca di un canone anche femminile del Novecento tedesco, Irmgard Keun ha prevalso su tutte. Leggerla è stato scoprire subito una voce non soltanto interessante ma anche molto viva, riconoscibile come voce letterariamente capace ancora di parlarci. La sua vita, la censura e le esperienze storiche che la riguardavano sono stati elementi che hanno influito a renderla importante anche come istituzione. È importante; ricorda che di Keun i primi due libri hanno riscontrato un successo clamoroso ma con il rogo dei libri la scrittrice tedesca ha subito una damnatio memoriae durata quasi fino alla fine dei suoi anni.Se nella sua vita il successo ha vissuto periodi carsici, adesso invece grazie al successo anche di lingua inglese è entrata in un macro-canone di letteratura tedesca.

La cultura tedesca, la modernità e l’autenticità

Dal Romanticismo alle avanguardie, l’intento era quello di creare un pubblico ed essere sé stessi: una comunità che offre a qualcuno una proposta culturale che ha la sua forza, che lentamente riesce a imporsi. Credo sia questo un elemento di modernità.

Marco Federici Solari:

Per quanto riguarda la cultura tedesca, sicuramente è in grande cambiamento. Dagli anni Sessanta la cultura tedesca ha espresso una voglia di complessità, da quella dei grandi pensatori a quella politica del socialismo e della divisione; persino tutta la letteratura dell’Est ha significato anche quella utopia. Con l’onda lunga del muro di Berlino si attuava una grande rivoluzione anche sociale e culturale. Nessun paese ha una storia da raccontare così forte e così recente. Era la volontà di raccontare il fatto storico: per la letteratura questo è stato un dato interessante.Oggi la letteratura tedesca ha una cultura vastissima, e sembra che il nostro compito culturale sia quello di dare percezione di questa vastità rispetto a un’idea di letteratura tedesca più rigida e filtrata da pregiudizi. È una letteratura sfaccettata, diversa, umoristica. Ci sono i lati più differenti, noi vogliamo condividere questa ampiezza. La necessità di dare la varietà a un estraneo così prossimo è una delle missioni culturali della casa editrice.

Cultura internazionale e traduzione

Il vostro catalogo è composto maggiormente di opere tradotte; negli anni ’30 in Italia l’editoria di traduzione riscontrava molte difficoltà ma era di alto interesse. Oggi nell’editoria che rapporto abbiamo tra la cultura italiana e la cultura tedesca,  internazionale?

Lorenzo Flabbi:

La prima annotazione che mi vien da fare è che è cambiata la sensibilità traduttiva dagli anni ’30 ad adesso, e direi che c’è una sensibilità molto più affinata negli ultimi decenni in Italia rispetto alle tematiche di traduzione. Questo non vuol dire che ci sia progresso nella traduzione o che si vada sempre verso una sensibilità maggiore. Il discorso della traduzione ha attraversato in maniera sinusoidale diversi periodi storici. Durante il Rinascimento in Italia la traduzione era un tema molto sentito, lo è stato certamente meno nella prima metà del Novecento, in quegli anni forse non si è tradotto in maniera troppo filologica e rigorosa. Il periodo degli anni ’30 è il decennio delle traduzioni, come lo definiva Pavese. C’era allora una nuova ondata di traduzioni in Italia ma l’idea che siano tutte di alto interesse è errato. Per operazioni molto alte, come ad esempio le traduzioni di Borgese, ce n’erano altre invece che erano scelte di solo interesse economico; in quegli anni c’era un’economia molto aggressiva dal punto di vista economico.

Altro è il discorso ampio sul rapporto tra la cultura italiana e quella internazionale. Circoscrivendo la risposta alla cultura francese e tedesca, spesso mi torna in mente la frase di Iosif Aleksandrovič Brodskij che dice che tra l’Italia e la Francia c’è un imperativo geografico, come se guardando la cartina ci fosse una verticalità tale che ciò che accade in Francia a un certo punto deve scendere inevitabilmente anche in Italia. A livello ampiamente generale, io credo che l’Italia per certi versi sia stata esterofila a lungo nel Novecento, forse anche in reazione al ventennio fascista che aveva fatto del nazionalsocialismo un valore fino ai disastri delle leggi razziali. L’Italia non veniva da una prima parte del secolo di cui essere fiera. Dalla percezione che il mondo stesse cambiando al secolo breve americano che avanzava, l’Italia è diventata molto esterofila soprattutto guardando i paesi anglofoni e gli Stati Uniti, però sempre con un grande rispetto e a volte un senso di inadeguatezza rispetto agli altri paesi.

Spesso si aveva la sensazione che l’Italia si scontrasse con la Germania o la Francia per mortificarsi, ci si confrontava arrossendo. In un certo senso qualcosa sta cambiando negli ultimi anni. Con un miscuglio contorto ora in Italia convive un’esterofilia sulla difensiva con una forza xenofoba. In questo diventa prezioso il lavoro culturale in tutte le sue forme, dalla musica al cinema, la letteratura e ogni forma d’arte, anche Internet. La cultura diventa un balsamo contro le barbarie sovraniste. L’interesse che c’è nei confronti di queste altre nazioni a noi riguarda particolarmente, perché spesso è un interesse verso le culture alte piuttosto che verso le forme di intrattenimento o anche di cultura quotidiana.

Io credo che ancora oggi in Italia si traduca tanto per questa spinta esterofila, per la curiosità ma anche per rinnegare giustificatamente una parte ignobile del proprio passato, a volte per complessi di inferiorità o mancanza di personalità.Penso che sia sempre bello tradurre ma a volte si traduce persino troppo. Ci sono oggi pubblicazioni fatte un po’ per default, collane che hanno avuto successo all’estero e quindi si traducono anche se non hanno un valore culturale determinante.Questo rappresenta però il contraltare di una cosa bella: che in Italia si traduce tanto, anche più che in Francia. Anche se le traduzioni sono quasi sempre dalla lingua inglese. L’impressione è che ci sia stato e ci sia ancora, anche per motivi storici, un grande filoamericanismo e che un forte spirito europeo abbia fatto e faccia tradurre tanto.