La notte non fa paura. Almeno a Roberto D’Agostino, che racconta a Marco Giusti gli anni più belli, in un viaggio notturno nella capitale, che sembra senza fine. Salpano il Tevere, incontrano amici, e svelano retroscena davanti mondanissime tavole apparecchiate. Con la regia e fotografia di Daniele Ciprì: “Roma, santa e dannata”. Docufilm presentato alla Festa del Cinema di Roma, che esce al cinema il 6, 7 e 8 novembre 2023: un filmato choc, rock, dove nessuno può sentirsi escluso, dai Papi ai viveur, dai Santi ai giramondo.

Durante la notte, a Roma, par di sentire ruggire leoni”. Scriveva nel dopoguerra Carlo Levi. Più che a una savana metropolitana, o allo zoo di Villa Borghese, voleva forse alludere alla storia. Quando i leoni al Colosseo o al Circo Massimo, sbranavano i cristiani. Oggi, e negli ultimi decenni, ci sono ben altri ruggenti felini nella notte romana. Uomini, rampolli, dame dalle fauci insaziabili di bella vita e piacere. Dove l’unico peccato, sembra commetterlo chi va a dormire. Lo sa bene Roberto D’Agostino, che ambienta il suo “Roma, santa e dannata” al calar delle tenebre. Il film comincia là dove finiva “La Grande bellezza” di Paolo Sorrentino: veleggiando sul Tevere. E il regista premio Oscar è anche uno dei suoi produttori.

Roma santa e dannata, per raccontarla ci vuole la notte

Roma santa e dannata, per raccontarla ci vuole la notte

Ci vuole la notte per raccontare Roma. E per capirla, soprattutto. D’Agostino maestro del pettegolezzo con la morale, dedito al culto del gossip di nicchia, non crea un film soltanto per i pruriginosi amanti degli scandali. Ma le sue “voci di popolo”, i “segreti della serva”, o le “preziosissime soffiate”, fanno cultura. Perché svelano gli arcani meccanismi del potere. Con le sue gloriose salite, e le discese agli inferi: tutto può consumarsi attorno un’attovagliata cena. Banchetti che possono finire a “coltellate”, dove la mira si prende con la lingua. O addirittura funerali, che a Roma riescono meglio delle feste, in cui si finisce sempre a mangiare.

Non basta il cupolone a renderla Santa. Roma è anche dannata. Un luogo dell’immaginazione universale, anche se non vi si è mai stati. Scendendo dal battello Teverino, Roberto D’Agostino incontra Carlo Verdone, che rievoca un episodio surreale di un’annata del “Festival dei poeti”, nell’estate 1979 sulla spiaggia libera di Castelporziano. E si lascia andare ai ricordi: “Quella volta che con Christian De Sica accompagnammo una giovanissima Monica Guerritore vestita da calciatrice della Roma al Jackie ‘O e lei ci mollò dopo cinque secondi perché ad un tavolo c’era Alain Delon..”.

D’Agostino: un atto d’amore e di passione nei confronti di Roma

S’incontra anche Vladimir Luxuria, che racconta le notti trascorse al “Muccassassina” e al “Degrado”, i locali in voga a Roma negli anni ’80. Il primo, è un ex cinema di Porta Castello che si chiamava “Mercury”, a cento metri dal Cupolone, con programmazione a luci rosse. E che la Santa Sede pensò di affittare a un gruppo gay, diventando il locale più trasgressivo dell’Urbe: dove passano, da Helmut Berger bello e ubriaco, fino al clero, mentre risuona quella che in gergo era chiamata “musica frocia“, Raffaella Carrà e gli Abba. Ritmi adatti agli ancheggiamenti, quando ci si spoglia della ‘maschera’ diurna e si diventa liberi, senza freni, sdoganati dalla notte.

Massimo Ceccherini confessa, spudoratamente sincero, i peccati in cui si può cadere a Roma, tra denaro sperperato, alcol, sesso e solitudine. C’è Carmelo Di Ianni, un passato in polizia, lavora come guardia del corpo e buttafuori («Mi sono inventato un lavoro, da ex poliziotto capivo subito chi poteva entrare e chi no»); uomo di mondo delle notti romane, un po’ dandy, il pugno da pugile e gran signore. E poi Sandra Milo, Giorgio Assumma, Enrico Vanzina, Vera Gemma. C’è anche Bettino Craxi, sotto la pioggia di monetine fuori dall’Hotel Raphael. Cicciolina, e De Michelis nelle notti dopo la politica. Gianni Letta che insegna la romanità al milanese Silvio Berlusconi (un aneddoto vuole il presidente chiedere a D’Agostino, se avesse tatuaggi anche “sul pisello”); c’è Papa Giovanni Paolo II, che al secondo giorno del suo pontificato ha voglia di una serata normale, esce dal Vaticano e va a mangiare una pizza a Trastevere. Al suo ritorno non viene riconosciuto dalle guardie che non lo lasciano entrare.

Roma santa e dannata, a spasso con chi la conosce

Si attinge al vasto repertorio di Dagospia: i vari filmati montati in “Roma santa e dannata“, fanno parte dell’immenso archivio cafonal che vanta il sito: l’indirizzo web temuto quanto seguito da vip e curiosi di ogni genere, che lo stesso D’Agostino chiama “una portineria elettronica”.  L’obiettivo di Roberto D’Agostino e Marco Giusti, era creare un colloquio, in un clima confidenziale. Mai recitato. Una sorta di Decameron “de noantri”. Nonostante l’impresa ardua, di condensare tante e infinite storie. Prendendo spunto da Fellini, che da documentari creava film. E da Martin Scorsese che ha raccontato New York nel suo film-documentario.

Scopriremo dinamiche tipicamente romane: dove “gli avversari, i nemici, o si seducono o si comprano. Non si combattono“. Flaiano ha inventato “la dolce vita” romana, Dago ne rifà il verso, non si sa se più impertinente o più veritiero. E come dice lui, verace romano nato a San Lorenzo, Roma è città capace di tutto, “anche di trasformare Berlusconi in un premier, De Michelis in un ballerino, Renzi in uno statista, Valeria Marini in un’attrice”. Simpatica la storia di Renato Zero coinvolto in un incidente dopo una serata al Piper: “Scombussolata dal ritmo di “Satisfaction”, l’auto non rispettò l’incrocio di via Sicilia, alle spalle di via Veneto. Il crash fu pauroso, ancor di più il posto dove fu sbattuta la 500: in mezzo alle bare delle pompe funebri Scifoni, negozio dotato di ampie vetrate che andarono in frantumi. Con la testa rotta, il volto bucherellato di vetri, io e Renato fummo portati al Policlinico Umberto I. Io al reparto maschile, lui a quello femminile. Cominciai ad urlare che Renato aveva il pisello ma gli infermieri non potevano credere che quella creatura bellissima, magrissima, capelli lunghissimi e addobbata di una tutina di lurex fosse un ragazzo“.

In “Roma santa e dannata“, aneddoti, risate, trasgressioni, politica, polvere bianca e lussuria. E certe contraddizioni che vanno a braccetto solo a Roma. Dove il personaggio più caricaturale, grottesco, pacchiano, è tremendamente reale. E la frivolezza, l’altezzosità, possono pur sempre finire a “ciriola e mortadella”. D’Agostino profetizza, e ci mette la sua colorita filosofia: “La città eterna è questa, un luogo che aspetta l’arrivo dei barbari da tempo immemore e allo stesso tempo non gliene frega nulla, perché quando arriveranno li porteremo da Checco Er Carettiere, con quattro zoccole vicino, e in due minuti diventano stronzi come noi”. Ma il grande dubbio resta anche dopo aver visto “Roma santa e dannata“: che Roberto D’Agostino ne sappia più di quel che dica.

Federica De Candia

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