Salvatore Quasimodo è oggi riconosciuto come uno dei più grandi poeti dell’Ermetismo. Nato a Modica nel 1901, lo scrittore prende inizialmente strade opposte alla letteratura. Diplomato geometra, si iscrive alla facoltà di Ingegneria, che, però, non conclude. Nel frattempo, si appassiona al mondo classico, studiando latino e greco: nello specifico, si sente molto legato ai poeti lirici greci (Saffo, Alceo, Anacreonte). Di questi pubblica un’Antologia, nel 1940, che si pone come una personale riscrittura.
Inaspettatamente, ottiene il Nobel per la Letteratura nel 1959. L’autore, infatti, si pensava potesse essere eclissato da poeti ritenuti più illustri: Saba, Montale e Ungaretti.
Salvatore Quasimodo e i due momenti poetici: l’Ermetismo e la Poesia Impegnata
Tra il 1930 e il 1952, Quasimodo abbraccia pienamente la corrente ermetica, da cui avevano preso le distanze Ungaretti e Montale. Si tratta di un movimento letterario che si sviluppò spontaneamente e che prese forma proprio dalle poesie dell’autore siciliano. I punti focali della sua poetica erano il rovesciamento del decadentismo dannunziano, l’affermazione della profonda libertà spirituale dell’uomo, l’opposizione alla disgregazione culturale e sociale e la ricerca di una poesia pura, che si ribellasse a qualsiasi forma poetica precostituita: si prediligeva uno stile complesso, ricco di analogie di difficile interpretazione.
In questa fase, motivo di ispirazione per il poeta sono la terra siciliana, il mare e la sua pesante assenza. E’ il tempo dell’interiorità con cui l’autore si impegna a confrontarsi, accettando l’oscurità provocata dalla consapevolezza dell’essere sempre più lontano dai giorni dolci e gioiosi della sua infanzia, trascorsi nell’amata isola.
Vento a Tindari
La poesia, del 1930, è una delle sue più celebri composizioni del tempo. Riflette i turbamenti di quegli anni, la malinconia per la terra natia e la consapevolezza di non potervi ritornare. Il poeta è pervaso, spesso, dalla paura della morte e a niente gli vale “l’affetto di coloro che gli sono vicini, perché le amare necessità della vita lo hanno portato in luoghi per lui senza luce. Egli sogna nostalgicamente un ritorno magico alla sua terra; Tindari, identificata con l’infanzia e la giovinezza, diventa così un sogno per evadere la realtà” (Marisa Carlà).
Salvatore Quasimodo e l’impegno civile
Dal 1945 al 1966, Salvatore Quasimodo avverte l’esigenza di caratterizzare la sua poesia di motivi morali e sociali, da cui si potesse evincere la responsabilità dell’uomo nei confronti del dolore e del male nel mondo. Se prima, infatti, il poeta si impegnava a “dipingere” le sofferenze di cui l’essere umano è afflitto, adesso punta il dito sulle cause: l’uomo stesso. Il cambiamento avvertito nelle poesia dell’autore è, senza dubbio, motivato dalla crudeltà emersa dalla Seconda Guerra Mondiale: Quasimodo si erge, ora, a giudice della società contemporanea, condannando gli orrori e la follia omicida, di cui l’uomo si è reso portavoce durante la guerra.
Uomo del mio tempo
In questo componimento del 1947, il poeta è consapevole dell’immutabilità della natura umana. Piuttosto, si è evoluta la scienza che permette all’uomo di raffinare le armi con cui poter distruggere i suoi simili, i suoi fratelli. “La cosiddetta “ civiltà”, quindi, invece di rendere gli uomini più buoni, li lasciò fermi nei loro istinti di primitivi, di uomini-belva, alla barbarie di Caino” (A. Frattini). Nonostante, dunque, Quasimodo sia totalmente conscio della brutalità dell’essere umano, del continuo ripetersi della storia (che non dà adito a una crescita morale e spirituale della natura umana), sembra che il poeta riservi un’ultima speranza nei giovani. Che questi possano dimenticare i loro padri, rifiutarsi di accogliere le loro orribili azioni e che possano, così, rendersi migliori.
Il pensiero attuale di Salvatore Quasimodo
Oggi si ricorda l’anniversario della scomparsa del famoso poeta, avvenuta il 14 giugno 1968, a Napoli. Benché siano trascorsi più di 50 anni dalla sua morte, il suo pensiero non può, purtroppo, che essere ancora attuale. L’uomo contemporaneo continua a macchiarsi di orribili atti nei confronti dei suoi simili. Cosa peggiore, appellandosi al concetto di “diversità”.
In memoria, infine, di Salvatore Quasimodo, speriamo che le sue composizioni poetiche possano condurci ancora una volta alla riflessione. L’uomo, responsabile di ogni male, dovrà essere colui che ne porrà fine.
Martina Pipitone