La situazione dell’esame di abilitazione forense sembra fuori controllo. Dopo la divulgazione di dati personali dal sito del Ministero della Giustizia e la segnalazione di assegnazione di tracce degli scorsi anni (da risolvere in sette ore mentre oggi vengono dati appena 30 minuti) arrivano quelle gravissime parole dei componenti di una sottocommissione esaminatrice. «Non possiamo promuoverli tutti, stiamo bassi». La vicenda riguarda circa 26.000 ragazzi italiani che ancora faticano, nonostante le battaglie dell’ultimo anno, a far emergere la propria condizione a livello mediatico. Ciò che per anni è rimasto un mero dubbio, ora emerge grazie ai social network.

Internet inchioda infatti, in modo circostanziato, le decine di gravi violazioni alle linee guida ministeriali. Benché ciascuna di queste rappresenti un singolo episodio, nel complesso, la condotta delle commissioni ampiamente autonome rispetto al Ministero centrale, getta più di un’ombra sulla validità dello stesso esame di abilitazione.  Da Instagram, in cui anche l’Avvocato Francesco Leone denuncia la grave situazione, a Facebook migliaia di giovani stanno urlando una verità che merita di essere condivisa e di uscire allo scoperto. Ma andiamo per gradi.

Il “data breach” del sito Ministero della Giustizia

È passato meno di un mese da quando, nel silenzio generale, migliaia di aspiranti avvocati hanno visto i propri dati violati proprio lì dove doveva essere più al sicuro: nella piattaforma del Ministero della Giustizia. Ad inizio maggio il portale è infatti andato in tilt e ha subìto quello che viene definito un “data breach”, cioè la violazione e il rilascio di informazioni private. In quell’occasione, fatto l’accesso, i ragazzi sono entrati sì in una pagina personale, ma di altri candidati. Nome, cognome, data di nascita, residenza, numeri di telefono, f23, e i voti degli esami di abilitazione sostenuti in anni precedenti. Alcuni, credendo si trattasse di un errore hanno addirittura rinunciato, impedendo così, involontariamente ad altri di sostenere l’esame. Claudia Majolo dell’Unione Praticanti Avvocati aveva inoltre raccontato di colleghi “preoccupati per la vicenda che sta assumendo toni grotteschi”. Già in quell’occasione era emersa “Una circostanza di gravità assurda”.

“Non possiamo promuoverli tutti”

Ma veniamo al più grave degli episodi. Siamo alla Corte di Appello di Brescia, candidati esaminati da remoto da commissari di Lecce. Altri esaminandi in ascolto, con microfono e camera disattivati. Terminato l’esame di un candidato i Commissari, convinti di non essere ascoltati, commentano: «Quanti ne avete promossi fino ad ora? Non possiamo promuoverli tutti, stiamo bassi». Poi proseguono: «Ho fatto apposta una domanda insidiosa» e ancora: «Io una domanda insidiosa posso farla». Dopo uno scambio di battute il candidato riesce a passare strappando il voto minimo. Questo fatto ha creato un terremoto e oggi anche il Ministero della Giustizia chiede chiarimenti. Già, perché il dubbio su un trattamento ingiustificatamente anomalo, insidioso e pesante rispetto a tutte le altre professioni con abilitazione, circola in rete da almeno un anno. Imprevedibili ora gli sviluppi, che possono esserci con risonanza mediatica. Tutte le associazioni di rappresentanza, infatti, invitano alla massima condivisione.

La richiesta al Ministero per ripristinare le Linee guida

Nei giorni scorsi l’UPA aveva espresso «sconcerto» ed «indignazione» per la redazione dei quesiti. Ora fa eco anche l’Aiga (Associazione italiana giovani avvocati) per evidenziare il mancato rispetto delle Linee guida ministeriali. La Consulta dell’AIGA, infatti, afferma di aver appreso «con sommo dispiacere che molte Sottocommissioni esaminatrici, nel sottoporre le tracce ai candidati, non si stiano adeguando alle Linee guida emanate dal Ministero». L’Associazione afferma inoltre di aver ricevuto molteplici segnalazioni di quesiti “non inerenti le materie oggetto di esame in totale spregio delle linee guida ministeriali”. Oppure, in altri casi, le tracce proposte ai candidati sono quelle degli esami degli scorsi anni, quando i candidati avevano 7 ore di tempo e non 30 minuti. Le tracce, in questi casi, sono “molto lunghe, complesse e non di pronta soluzione”. Secondo l’Aiga l’attuale confusione è «l’amara conseguenza» di un’eccessiva autonomia lasciata alle sottocommissioni.

di Serena Reda