
“Quando vuole fare figli?”, “Saprebbe a chi lasciarli mentre lavora?”. Domande come queste, in un colloquio di lavoro, sono comuni quando rivolti alle donne. A poco valgono le tre pagine di curriculum o il numero di lingue parlate davanti a simili interrogativi che riducono a un corpo e null’altro. E che a un uomo nessuno si sognerebbe di fare. Le definiscono spesso “domande scomode”, ma bisognerebbe iniziare a chiamarle con il proprio nome. Per l’articolo 37 della nostra Costituzione, domande illegali.
Quando al colloquio chiedono…
La pandemia ha stravolto la nostra vita professionale. Modalità di lavoro diverse, colloqui da remoto, nuove disuguaglianze di genere. Una costante però ha superato le difficoltà, mostrandosi anch’essa un virus resistente e dannoso. Si tratta di quelle che vengono definite, talvolta nei colloqui stessi, “domande scomode”. E che sono in realtà non troppo velate indagini su come tu possa o sappia bilanciare vita privata e lavorativa. Perché, in molti casi, sono fatti tuoi e tuoi soltanto. Chi ti vuole assumere non solo non si preoccupa di agevolarti, ma dà anche per scontato che tu sia la sola responsabile di questa complessa disciplina acrobatica. Quasi i padri fossero più delle magiche creature che dei corresponsabili della crescita e della cura dei figli.
Un numero variabile di lauree e master, esperienze pregresse invidiabili, cinque pagine di curriculum. E poi il momento in cui al cervello, alle capacità, ai requisiti soddisfatti si sostituisce il corpo. Si sostituisce quella funzione biologica demandata alle donne che la tradizione vuole quale uno degli scopi più alti della loro esistenza. Un semestre all’estero e un’ottima conoscenza della lingua? Non importa: il campo su cui a volte ti giochi tutto è quella stupida domanda: “Vuole dei figli?”. Meglio dire di no, magari mentendo? Dire di sì, col rischio di veder sfumare un’opportunità di lavoro? Tra i pensieri che si affastellano, uno più che legittimo: a un uomo non lo avrebbero chiesto.
Anche perché non potrebbero. E neanche a te.
Questo perché è illegale
Parlando in termini esclusivamente di legalità, infatti, domande di questo tipo non sono ammesse. A sancirlo: l’articolo 37 della nostra Costituzione.
“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.
Articolo 37 della Costituzione Italiana
Non solo: anche l’articolo 27 del Decreto Legislativo 198/2006, inserito nel Codice delle Pari Opportunità, lo ribadisce. Qualsiasi forma di discriminazione fondata su sesso, stato matrimoniale, di famiglia o di gravidanza, per quanto riguarda l’accesso al lavoro non è permessa. Anche lo Statuto dei Lavoratori, nell‘ articolo 8, vieta al datore di fare domande non pertinenti il ruolo per il quale si sta somministrando il colloquio.
Cosa ti ferma dal rinunciare tu stessa alla posizione?
Nulla. Hai superato la prima parte di colloquio, ti viene fatta qualche domanda illegale e senti montare la rabbia. Vuoi andartene e nessuno ti vieterebbe di farlo. Puoi scegliere se rinunciare a questa opportunità e non sentirti in colpa se desideri avere una famiglia. Giusto?
Sì, in teoria; è da vedere, in pratica. La pandemia ha costretto moltissime donne a lasciare il lavoro, proprio perché impossibilitate a stare dietro a tutto. Nel 2020 si è arrivati a contare 99mila donne contro 2mila uomini. L’aiuto sancito dall’articolo 37 si è risolto in qualche caso nel permesso di portare i figli al lavoro con sé, come se, in mancanza della madre, non abbiano qualcuno che si prenda cura di loro. Per molte, quindi, accettare il lavoro, anche quando la firma del contratto è preceduta da domande illegali, può essere l’unica cosa da fare.
Dire che serva una presa di responsabilità è cosa buona e giusta. E prima di tutto vera. Perché non si può continuare a valutare il valore di una donna per la propria condizione. È la solita vecchia storia che cambia pelle, ma che resta nella sostanza invariata: oltre l’utero c’è di più.
Sara Rossi