Sephora si ritira dalla Corea del Sud

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Di Marianna Soru

Sephora abbandona il Sud Corea: ad annunciarlo la stessa azienda tramite i suoi canali social. La motivazione? Probabilmente l’altissima concorrenza data dai brand locali. Il noto marchio LVMH leader del beauty in tutto il mondo ha deciso, con una lunga strategia, di abbandonare gradualmente l’Asia. Dopo aver aperto nel 2019 in Corea ha dunque deciso di abbandonare la zona.

Sephora e il Sud Corea: una collaborazione durata poco meno di cinque anni

Ed è già dallo scorso gennaio in realtà che la direttrice generale Cina di Sephora ha lasciato il suo incarico. Questo allontanamento non è casuale: sarebbe infatti legato soprattutto alla concorrenza spietata dei concorrenti locali asiatici, tra le comunità più forti in merito di beauty e soprattutto skincare. La skincare coreana è infatti un’eccellenza mondiale, che ha conquistato tantissimi occidentali.

E proprio questa concorrenza sembrerebbe rallentare la crescita mondiale del brand. Nonostante la concorrenza però, l’Asia resta, dietro agli Stati Uniti, uno dei mercati prioritari per l’insegna francese. Che è attualmente presente in 35 nazioni. E che, secondo gli specialisti del settore, ha già raggiunto un fatturato di 12 miliardi di euro nel 2022: ora punta ai 20 miliardi, senza però avere una scadenza temporale per raggiungere questo risultato.

Cosa è successo

Crescita rallentata, per ora? Non poco tempo fa Sephora aveva già annunciato attraverso i suoi social network che si sarebbe ritirata gradualmente dal Paese a partire dal prossimo 6 maggio 2024. Un ritiro che parte dal sito e-commerce locale del distributore di prodotti di bellezza; a seguire i suoi sei negozi e infine l’applicazione mobile.
 
Sbarcata in Corea del Sud recentemente, nel 2019, la catena Sephora aveva già segnalato nel 2022 di incontrare difficoltà in quella nazione. La causa inizialmente sembrava essere il Coronavirus. Tuttavia, si era detta comunque fiduciosa sulle prospettive, soprattutto sul proprio potenziale di crescita in Corea. Ma le difficoltà sono state aumentate in virtù del dominio del mercato locale da parte di operatori autoctoni, come CJ Olive Young, che conta invece più di 1.300 negozi nel Paese.

Marianna Soru

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