
Il canzoniere di Sergio Endrigo custodisce alcune tra le perle di maggior valore della musica italiana, spaziando dai brani sull’amore a quelli per bambini fino a quelli più impegnati. La sua grandezza sta nell’immediatezza della scrittura che non può in alcun modo essere confusa con banalità ma che costituisce, al contrario, il segno di una grande abilità nell’elaborare i sentimenti in maniera quasi filosofica ma con semplice profondità.

L’infanzia a Pola e la nostalgia dell’esule
Nasce il 15 giugno del ’33 a Pola, quando l’Istria è ancora parte dell’Italia. Quattordicenne lo ritroviamo, insieme alla madre e al fratello, sul piroscafo Toscana durante l’esodo di massa che segue alle intenzioni di Tito di perseguire la slavizzazione di Istria e Dalmazia. È ancora giovane per accorgersi realmente di quello che sta accadendo e della ferita che i polesani sentiranno per sempre viva. Ma nel ’69 canterà la nostalgia degli anziani della sua terra costretti ad abbandonare le proprie radici nel brano 1947.
Da quella volta non l’ho rivista più
cosa sarà della mia città
In futuro sentirà e canterà anche di un’altra nostalgia, quella che prova per il Brasile, paese che visita per lavoro e per diletto moltissime volte. Collaborerà infatti con artisti brasiliani del calibro di Vinicius de Moraes e Toquino e amerà cosi tanto quella terra che la figlia Claudia affermerà: “alla fine si sentiva quasi più brasiliano che italiano”.

Gli anni ’60, il successo e la censura
Compra la prima chitarra vendendo la collezione di francobolli ricevuta dallo zio e, dopo una gavetta da cantante d’ orchestre, arriva il grande successo con brani come Io che amo solo te, Lontano dagli occhi, Canzone per te e L’arca di Noè, che lo portano più volte sul podio di Sanremo. Ma Endrigo è un artista versatile e innovativo: si dedica anche alla canzone per bambini partendo da testi di Gianni Rodari (Ci vuole un fiore), una scrittura tutt’altro che scontata.
Come molti altri artisti dell’epoca, si scontra con la quasi paradossale censura imperante. In particolare fa scalpore il brano Teresa, che allude ad una ragazza non più pura. D’altra parte nessuna obiezione viene mostrata nei riguardi di Via Broletto 34, che racconta di un delitto passionale: al giorno d’oggi sarebbe nato, giustamente, un dibattito per la tematica delicata. Ulteriore conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che la musica tutta, anche quando non descrive esplicitamente il proprio tempo, comunque inevitabilmente lo racconta.
Anche Il soldato Napoleone, adattamento di una poesia di Pasolini, subisce la censura della Rai per alcuni versi definiti “disgustosi”.

Endrigo, artista elegante e dalla vena malinconica
Nonostante nella vita privata sia anche molto divertente e allegro, la sua immagine pubblica è quella di un cantautore dalla vena malinconica e amara, che sembra trasparire dalle sue canzoni. La verità è che rimane sempre molto defilato rispetto alla vita mondana della gente dello spettacolo, tende ad isolarsi. Di sé dice: “Io faccio un lavoro come un altro. C’è chi fa l’avvocato, chi l’imbianchino o il medico, io canto e questo voglio fare, non riempire i rotocalchi per avere più successo“.
La figlia sostiene che lui nutra anche un sentimento di inadeguatezza, non avendo avuto la possibilità di studiare né canto né musica. Ma è proprio questo che lo rende ancora più grande. Lauzi lo definisce “l’unico nostro artista comparabile a Brel”.
Purtroppo l’industria musicale degli anni ’80 inspiegabilmente lo esclude, non dando il giusto risalto ad album di rara bellezza. A peggiorare le cose si aggiunge una parziale sordità che rende il cantante avvilito ed inquieto. Dopo ormai anni dalla sua morte (2005), gli viene anche riconosciuta la co-paternità (con Bacalov) delle musiche de Il postino, con un immenso Massimo Troisi, insignite dell’Oscar. Sembra quasi che il destino di Endrigo sia quello di dover essere ri-scoperto dopo tempo e sarebbe davvero ora che alla sua opera fosse riconosciuto il posto che le spetta nell’Olimpo dei cantautori italiani.
Emanuela Cristo
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