Sette re devono morire: la recensione del film sequel di The Last Kingdom

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Di Eleonora Quarchioni

Dal 14 aprile è disponibile su Netflix Sette re devono morire, il film sequel di The Last Kingdom, dramma storico con protagonista l’immaginario eroe – Uthred di Bebbanburg. Basato sulle Saxon Stories di Bernard Cornwell, il film racchiude in maniera frettolosa gli ultimi tre libri del racconto.

La profezia: “Sette re devono morire”

La storia è ambientata diversi anni dopo la fine della quinta stagione di The Last Kingdom. Ritroviamo Bebbanburg e il suo legittimo regnante, Uthred (Alexander Dreymon), sempre al fianco dei suoi compagni di mille avventure, Finan (Mark Rowley) e Sihtric (Arnas Fedaravicius). La pace conquistata dopo tanti anni di battaglie, però, si spezza con la morte di re Edward (Timothy Innes), annunciata dalla venuta della regina Eadgifu (Elaine Cassidy) e di suo figlio Edmund (Zack Sutcliffe) a Bebbanburg.

Lo scontro che si staglia all’orizzonte è quello tra i due figli più grandi del defunto regnante: Athelstan (Harry Gilby) e Aelfweard (Ewan Horrocks). Nel frattempo, un re vichingo, Anlaf (Pekka Strang), sbarca in Inghilterra per stringere alleanze con gli altri regnanti e sterminare il Wessex. Insomma, con la morte di re Edward la profezia di Ingrith, moglie di Finan, sembra davvero avverarsi: “Seven Kings Must Die”.

Chi saranno gli altri sei re a morire?

Il sogno di Alfred

Con questo film si porta a termine l’impresa iniziata da re Alfred di unire i popoli della Britannia sotto un unico re e un unico credo: il cristianesimo. L’uomo predisposto a tale compito è proprio Athelstan, quel figlio rinnegato per anni da re Edward e ora legittimo erede al trono, nonché protegé di Uthred stesso. Tuttavia, Athelstan rivela in pochi minuti di essere cambiato (manco si trattasse di Daenerys Targaryen): uccide a tradimento il fratello, invade la Northumbria e manda Uthred in esilio. Fa tutte queste cose per amore di Ingilmundr (Laurie Davidson), vichingo cresciuto come un sassone, e cerca di espiare la colpa di una relazione omosessuale con una grande opera di conversione: l’unione dell’intera Britannia sotto il credo cristiano.

Il suo proposito però non sarà facile da attuare: Anlaf, il re vichingo, si è alleato con Costantino il Pio, regnante di Scozia, e con gli altri sovrani delle isole. Ma non solo: il villain di questa storia ha delle talpe all’interno del Wessex, e alcune di loro sono molto prossime a Re Athelstan…

Un film o un grande polpettone?

Le vicende narrate in questo film di quasi due ore si susseguono senza tregua e senza dare il tempo allo spettatore di riflettere su quello che sta accadendo. Sette re devono morire è un film fatto esclusivamente per chi già ha seguito la serie The Last Kingdom, ma praticamente impossibile per i neofiti dello show. Inoltre, il percorso compiuto da Athelstan è troppo veloce per i ritmi di un lungometraggio, e avrebbe necessitato gli spazi di una stagione, così come altre storyline secondarie, che risultano poco approfondite.

Sette re devono morire estremizza il lato “cappa e spada” che, in fondo, la serie ha sempre avuto, e sacrifica così l’approfondimento mistico alla Vikings. La storia unifica i tre libri finali delle Saxon Stories di Cornwell, ma lo fa a discapito di molte linee secondarie che sarebbero state apprezzate sia dai lettori che dagli amanti della serie. Alcuni personaggi che avevano colpito lo spettatore con il loro carisma sono stati tagliati senza una spiegazione (Lady Ealhswith) e altri sono stati declassati a terziari (re Costantino). Per non parlare del villain, Anlaf, di cui credo pochi ricordino già oggi il nome…

di Eleonora Quarchioni

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