Lo chiamano sex work, traducibile alla lettera in italiano come “lavoro sessuale”, coniato per svincolarsi dai frames mentali del termine “prostituzione”. Eppure basterebbe a definirlo qualitativamente anche solo il work, senza la specifica che ne chiarisca l’attività. A tutti gli effetti è un lavoro e come tale dovrebbe essere trattato. Questa però si mantiene e la motivazione è radicata nella nostra storia come quelle vecchie accortezze che ci hanno insegnato durante l’infanzia e che ci portano a non mettere la mano sul fuoco o le dita nella presa della corrente. Fa parte dei cavalli di battaglia del patriarcato: la donna o è santa o puttana. Di prendere in considerazione terze opzioni non se ne parla. Accordare un valore di differenza a quel sex, a quel “sessuale”, è stigmatizzante e pertanto crea emarginazione. Le prime a farne le spese sono proprio le sex workers.

L’emarginazione delle sex workers in Italia:

È il 20 febbraio 1958 quando il Parlamento italiano approva la Legge Merlin. Dopo un iter lungo 10 anni la prostituzione smette di essere regolamentata. Si abolisce quindi il controllo diretto sia da parte dello Stato che del soggetto pubblico o privato. Se da una parte vengono così penalizzati sfruttamento e favoreggiamento per dare spazio di espressione alla sessualità di persone libere e consenzienti, dall’altro si lasciano queste stesse alla mercé di un’Italia moralista e conservatrice, presa nella trappola del cattolicesimo imperante. In vigore ancora oggi, la Legge è accompagnata da un ampio dibattito che vede opposti sostenitori e detrattori.

È il 20 febbraio 1958 e l’Italia è ferma ad allora. Lo sfruttamento della prostituzione continua a esistere, in condizioni di clandestinità. Non sono pochi gli esempi in cui la scarsa tolleranza della prostituzione ha portato a misure repressive che a volte hanno clamorosamente mancato il bersaglio. La proposta del ddl Carfagna , con le sue sanzioni anche per le prostitute stesse, può bastare come esempio per tutti. Sebbene non sia criminalizzata la prostituzione in sé, lo è tutto quello che la circonda. Senza fare sconti. E così sulla pelle delle donne che si prostituiscono, per qualsiasi motivo si trovino a farlo, si aggiunge il marchio dell’intolleranza.

Vittime

Oltre 40 milioni di vittime di tratta, di cui il 72% sono donne e il 23% minori. Nel 60% dei casi vendute sul mercato per lo sfruttamento sessuale. Secondo il rapporto GRETA del Consiglio d’Europa, l’81% sono donne per lo più nigeriane, romene, marocchine e albanesi. Sono donne spesso invisibili, perché, a tutti gli effetti, non esistono. Senza tutele, senza piani assistenziali, spesso senza documenti. Donne che passano dalla tratta a violenze che ci è costretto a fare sex work vive quotidianamente in molti contesti: fisiche, sessuali e persino omicidi. Ma non solo da parte di chi le costringe: lo stigma sociale è troppo potente per passare inosservato a chi, dicendosi “perbene”, approfitta del proprio potere. Secondo il Sex Workers’ rights Advocacy Network il 40% delle sex worker nell’area Centrale di Asia e Europa ha subito abusi da parte delle forze dell’ordine.

Ovunque le donne che lavorano nel mondo del sesso chiedono diritti. Il 3 marzo del 2001 più di 25.000 sex worker si sono riunite in India per chiedere diritti in occasione del festival organizzato dal collettivo Durbar Mahila Samanwaya Committee, fondato nel 1995 a Calcutta. Da allora è nata la Giornata Internazionale per i diritti dei sex worker. A oltre vent’anni di distanza, però, non si può dire sia cambiato molto. A peggiorare le cose, la pandemia da Coronavirus.

«Se fossimo riconosciute con una partita Iva avremmo almeno potuto chiedere i 600 euro dello Stato. Invece siamo state abbandonate e dobbiamo rivolgerci alle associazioni di assistenza per mangiare»

condanna Pia Covre, fondatrice del Comitato per i diritti civili delle prostitute. Tra le milioni di persone ridotte in povertà dalla pandemia, anche loro. Ma, senza un pieno riconoscimento giuridico e lavorativo, è impossibile ottenere una reale tutela.

Il mestiere più vecchio del mondo è l’oppressione

Oppressione e patriarcato sono legati tra loro con talmente tanti nodi che non si può pensare l’uno senza l’altro. La prostituzione fa il paio con il primo, suo gemello nella cattiva sorte. Dopo la terza ondata femminista e l’apertura intersezionale, il femminismo nero e l’inclusività, questi tre termini vengono nuovamente ripensati. Concludendo ancora una volta quanto sia importante lottare per la dignità di chiunque, prostitute incluse. Non ci si deve solo smarcare da pregiudizi e stereotipi che le accompagnano a ogni passo, ma anche riconoscere loro le protezioni sociali dovute a ogni lavoratore. Tra chi sostiene il lavoro sessuale e chi invece fatica a liberarsi dal moralismo congelato nel tempo, queste donne vedono scomparire diritti che non hanno mai avuto.

Sara Rossi