A lungo, i grandi gruppi di proprietà del lusso, hanno dibattuto su come rendere la produzione più sostenibile, ponendosi obiettivi qualitativi sia per il prodotto sia per l’ambiente. Ora, dopo l’ultimo approfondimento di Textile Exchange sull’utilizzo di microplastiche nella produzione tessile, i brand e le property scelgono di intraprendere un nuovo percorso produttivo che esclude la plastica nelle fibre di abiti ed accessori. Un movimento di sensibilizzazione che nasce con un nuovo protagonismo dell’artigianato, simbolo di un lusso che colloca, tra storia ed attivismo, il prodotto finito in un nuovo spazio più verde che mai.
Sostenibilità: il consumo di abiti ed il rilascio di microplastiche
L’industria dell’abito deve confrontarsi con nuove imprese ambientali: ora la priorità è la plastica. Come mostra lo studio di Textile Echange, più del 60per cento degli abiti sono realizzati con materiali sintetici, i quali nel tempo rilasciano microplastiche che non contribuiscono alla salvaguardia ambientale. L’approfondimento riporta che in un anno vengono prodotti 100miliardi di capi, di cui il 70per cento finirà in disuso così da dover essere smaltito. ‘’I grandi nomi del fashion si impegnano nell’uso di shopper biodegradabili, ma poi il loro contenuto è tutt’altro’’ dice Heiq Ainoiq, una società che di recente ha collaborato con alcuni brand nella realizzazione di filati ecosostenibili ottenute dall’uso di materiali di scarto e fibre naturali. Heiq Ainoiq aggiunge che questo processo produttivo è più lungo di quello che si usa comunemente ma i suoi risultati possono essere maggiori, e possono portare ad un abbattimento dell’uso della plastica nel fashion entro la fine del 2030. Anche se la questione non è solo qualitativa, ma anche economica.
La plastica a basso costo ed il suo uso
È proprio il costo produttivo ad avvocinare i brand, perché le fibre sintetiche costano meno e la loro lavorazione richiede meno tempo. Ulteriori vantaggi per il consumatore possono essere la resistenza dei materiali sintetici ed il loro riuso, anche se quest’ultimo non è lungo tempo: una strategia dei grandi colossi che così obbligano i propri consumer a dover riacquistare il capo. Per quanto le nuove regole europee si pongano da tramite tra costi e qualità, agevolando con convenzioni i grandi acquisti tessili industriali, attualmente il loro uso è (quasi) sempre lo stesso, e la nuova generazione di consumer sembra ancora preferire il low-cost al lusso sostenibile. A questo poi si aggiunge la funzione pratica, come quella sportiva che l’elasticità del sintetico permette. Come dice Stefan Seidel, responsabile della crescita Puma:
‘’leggerezza e resistenza sono qualità ricercate in ambito sportivo. Noi continuiamo ad usare l’elastan perchè permette il raggiungimento di elevate prestazioni fisiche, garantendo flessibilità ed aderenza’’
si pone l’attenzione sulle qualità techine che il sintetico concede e la loro versatilità, come avviene con il poliuretano il cui uso spazia dalla pelle di abiti ed accessori agli interni automobilistici, grazie alla sua impermeabilità e resistenza agli urti.
Come agiscono i brand
Ma dietro questi meccanismi di uso e riuso del materiale, ci sono gli stessi brand che attuano strategie funzionali non al totale abbattimento della plastica, ma al suo contenimento e graduale diminuzione. Come Nike che si impegna ad usare il 75per cento di poliestere riciclato entro il 2025, e Prada che con il suo progetto Re-Nylon ogni anno lavora sull’iconico tessuto sperimentando nuove forme di approvvigionamento tessile. Questi sono pur sempre rimedi alla questione ambientale, che diminuiscono di più del 40per cento il suo deterioramento. Un brand che quest’anno è riuscito a raggiungere il 98,9per cento di abiti senza l’uso di plastiche è lo sportivo Icebreaker, che però ha detto di aver dovuto togliere dalla produzione intere categorie di prodotto, e questo ha comportato una riduzione del guadagno. E se guadagno e ambiente spesso non si muovono in contemporanea, ora ad attivarsi è l’intera industria in cerca di alternative che non escludano ne uno ne l’altro, in un aggiornamento della catena produttiva più green e meno grey.
Luca Cioffi
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