Spike Lee l’ha fatto di nuovo, durante la quarantena ha rilasciato il secondo cortometraggio a sorpresa, una nuova versione di They Don’t Care About Us. Già nel 1996 Lee aveva infatti realizzato entrambe le versioni video del tanto discusso brano di Michael Jackson.
Il videoclip originale era ambientato interamente in una prigione. Allineandosi al testo stesso denunciava, attraverso le immagini, il razzismo sistemico negli Stati Uniti, le incarcerazioni di massa e la police brutality. Con un po’ di attenzione si potevano persino scorgere in trasparenza le immagini del terribile pestaggio di Rodney King del 1992, per il quale Los Angeles bruciò di rabbia per giorni. Per la sua enorme portata politica il video fu censurato da MTV, costringendo Lee e Jackson a girare la seconda versione in Brasile.
Il video nella favela di Santa Marta a Rio de Janeiro non toglie però nulla alla potenza del video originale, anzi ne accentua la portata internazionale. Quell’us (noi) di cui canta Michael Jackson diventa una collettività più ampia, tutti i popoli umiliati dal suprematismo bianco, non solo gli afroamericani.
“They Don’t Care About Us”, la terza versione
Il 29 agosto 2020, in occasione del compleanno di Michael Jackson, su YouTube compare all’improvviso una terza versione che lascia senza parole. Spike Lee appunto riprende in mano questi due vecchi videoclip, li rimonta insieme e aggiunge le immagini delle manifestazioni di Black Lives Matter 2020. New York, Los Angeles, Minneapolis, Portland ma anche Roma, Tel Aviv, Dublino, Londra e Parigi. Tutto il mondo che si è mosso per dire basta, dopo George Floyd.
Sono immagini che fanno tremare, che fanno capire quanto sia stata forte l’onda d’urto del movimento quest’anno. Per semplice questione di tempismo tecnico mancano le immagini della nuova marcia su Washington dello scorso 28 agosto o gli scontri in seguito al ferimento di Jacob Blake. Ma è anche giusto così, Spike Lee non ha fatto che immortalare un momento, uno stralcio di quella che sembra essere una lotta molto più lunga e instancabile.
Perché anche se adesso sembra essersi placata l’indignazione da questa parte dell’Oceano, i nomi di afroamericani uccisi dalla polizia continuano a moltiplicarsi. Senza sosta. Una canzone apparentemente non può far tanto, ma riesce a dar voce a chi non ne ha, ed è già molto. Come lo stesso Lee ha dichiarato:
Le grandi canzoni di protesta non invecchiano né diventano irrilevanti, perché la lotta continua. Ecco perché THEY DON’T REALLY CARE ABOUT US è l’inno di questo mondo caotico e malato in cui viviamo. (…) Abbiamo fatto questo film per continuare la lotta all’uguaglianza per tutti. – Spike Lee
Articolo di Valeria Verbaro