La schiavitù era e rimane la base del sistema economico statunitense. È questa la tesi proposta e dimostrata da Ava DuVernay nel corso del suo illuminante documentario, 13th – XIII emendamento (2016). Un’opera necessaria, complessa e colma di contenuti, imprescindibile per comprendere il contesto attuale e la pervasività della razza nella società e nella politica statunitense.

La reinvenzione della schiavitù nel XIII emendamento

Il 19 giugno 1865 è la festa ufficiosa dell’indipendenza afroamericana, giorno in cui la schiavitù venne di fatto abolita. Dopo la Guerra Civile, tuttavia, gli Stati del Sud, privati della forza lavoro di quattro milioni di schiavi, dovettero reinventarsi in fretta. Il loro sistema economico, distrutto dall’abolizionismo, trovò un appiglio in una clausola del neonato tredicesimo emendamento della Costituzione. Il dettato costituzionale, infatti, dichiara che:

La schiavitù o altra forma di costrizione non potranno essere ammesse negli Stati Uniti (…) se non come punizione di un reato (…) [Sez.I, XIII Em.]

Un frame da 13th - XIII Emendamento (2016) di Ava DuVernay - Photo credit: web
Un frame da 13th – XIII Emendamento (2016) di Ava DuVernay – Photo credit: web

Per quanto oggi sia inaccettabile la sola esistenza di queste parole nella Costituzione di uno Stato democratico, più gravi sono le sue conseguenze. Innanzitutto, infatti, per semplice logica: se i criminali non sono più uomini liberi, basta rendere i liberi criminali. È così che gli Stati del Sud si ripresero i loro schiavi, con le prime incarcerazioni di massa. Contemporaneamente, e di conseguenza, si plasmò la mitologia della criminalità nera, appositamente costruita per giustificare gli arresti e instillare la paura dell’uomo nero.

Prospettiva e struttura dell’opera di Ava DuVernay

Il pregiudizio sul black man, criminale aggressivo e bestiale, costantemente veicolato dai mass media, viene volontariamente catturato e ribaltato da Ava DuVernay. Già in Selma la regista aveva sottolineato il ruolo essenziale della televisione durante i pestaggi della polizia. Tutta quella violenza, trasmessa in ogni casa, aveva svegliato le coscienze, portando migliaia di persone al fianco di Martin Luther King. Nel caso di 13th il principio è simile: è il documentario intero a entrare in casa, attraverso Netflix, per farci aprire gli occhi. Grazie a numerose testimonianze il film espone chiaramente questioni troppo spesso sottintese. Dà nomi e volti al trauma razziale su cui si basa la stessa identità statunitense.

Angela Davis in un frame di 13th - XIII emendamento (2016) di Ava DuVernay - Photo credit: web
Angela Davis in un frame di 13th – XIII emendamento (2016) di Ava DuVernay – Photo Credit: web

Lungi dal sembrare ingenui, la prima cosa da riconoscere è che 13th è attentamente costruito per dimostrare l’ipotesi iniziale. È un’argomentazione serrata e inattaccabile. Si riconosce subito una struttura circolare, ossia un riferimento iniziale e finale al testo stesso del XIII emendamento. Dentro questa cornice la regista alterna materiale d’archivio (fotografie, pagine di giornale, video) e numerose interviste. Fra queste spicca naturalmente quella ad Angela Davis. Lei è la voce dell’intelletto nero degli anni Settanta (e autrice apertamente schierata contro il sistema penitenziario), ma tutti gli interventi sono illuminanti. Molto interessante è la controparte, presente ma irrisoria, totalmente oscurata dalla potenza delle argomentazioni principali.

Un percorso storico e una denuncia allo stesso tempo

L’ordine degli eventi è cronologico e lineare. Si inizia appunto dal 1865 e procedendo quasi per capitoli si affrontano le varie tappe della storia afroamericana in relazione a quella nazionale. Ogni epoca ha in comune la costante criminalizzazione degli afroamericani, in forme sempre diverse. È chiaro che lo scopo di questo excursus è quello di dimostrare che la situazione attuale è solo la punta dell’iceberg. L’abuso di potere dei poliziotti discende direttamente dai guardiani delle piantagioni. Deriva dai linciaggi iniziati negli anni Venti e dalla “guerra alle droghe” (cioè ai ghetti) iniziata da Nixon e finita da Reagan. Trova legittimazione nella disastrosa legge, approvata da Clinton nel 1994, che militarizzò la polizia.

Nixon e Hoover, direttore dell'FBI, in un frame di 13th - XIII emendamento, Ava duVernay - Photo credit: web
Nixon e Hoover, direttore dell’FBI, in un frame di 13th – XIII emendamento, Ava duVernay – Photo credit: web

Il percorso fino alla contemporaneità

Conoscere la storia, la politica e l’attuale sociologia statunitense non è che il primo passo. Il carico di informazioni concentrato in queste scarse due ore è semplicemente uno shock per lo spettatore. Lo sono ugualmente le immagini senza censure scelte da Ava DuVernay per dimostrare tutto ciò che viene detto. Immagini provenienti da ogni epoca, hanno tutte in comune la violenza inumana contro i corpi neri, oggetti dello sfruttamento e dell’odio bianco. Le ultime, naturalmente, sono quelle degli omicidi di Oscar Grant, Eric Garner, Philando Castile… Immagini che vanno mostrate, come quelle della Domenica di sangue a Selma o di George Floyd, per risvegliarci dal torpore dell’indifferenza.

Un ampio spazio nel finale viene quindi dedicato al movimento Black Lives Matter, definito l’unica speranza di riumanizzazione dopo secoli di reificazione e criminalizzazione. Nato dal basso per mostrare che dietro i corpi traumatizzati e mortificati ci sono vite che contano. L’unico movimento senza leader da uccidere, senza sedi da far saltare in aria, una rete diffusa che resiste nelle coscienze di ognuno e che per questo potrà fare la differenza.

Articolo di Valeria Verbaro

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