Spy x Family Code: White – la recensione

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Di Alessandro Libianchi

Vi è una tendenza abbastanza dilagante nel mercato dei film anime mainstream. Una tendenza, che, in realtà, è sempre esistita ma che negli ultimi anni ha preso sempre più piede. Ed è quella del confezionare a regola d’arte film basati su serie anime di successo con il solo scopo di promuovere la serie stessa. Come detto, non è una pratica nuova. Lo abbiamo visto negli anni con i film di anime di successo come Dragonball, o con gli svariati film di One Piece. Tutti lungometraggi che non aggiungevano nulla al canon della serie principale e fungevano da trampolino promozionale per il prodotto madre. Ma quei film lì, da certi punti di vista e in alcuni casi specifici, cercavano un compromesso tra la promozione e l’autorialità artistica. Un’intrinseca voglia di non far sfigurare il prodotto, nonostante il suo scopo.

Negli ultimi anni, invece, assistiamo ad un annullamento di qualsivoglia nobiltà animata a favore di un’impronta totalmente legata al marketing. Esempio lampante è stato il recentissimo film di Demon Slayer, formato da circa due puntate e mezzo della serie principale che, poste in sequenza formavano un lungometraggio decisamente dimenticabile. La parabola di Spy x Family Code: White non è la stessa, ma ci si avvicina irrimediabilmente. Perché, da quello che si intuisce, il film prova a mettere in gioco due operazioni distinte: una di giubilo per il pubblico di aficionados della serie che ritrova i personaggi e le caratteristiche dell’anime originale. L’altra di avvicinamento di nuovo pubblico alla stessa serie. E lo fa attraverso una storia originale, scritta appositamente per il film. Ma oltre a questo, non fa nulla per tentare di nobilitare il prodotto, provando a parlare ad un pubblico ancora più ampio. Si limita a richiamare chi apprezzerebbe la serie, tralasciando qualsivoglia forma autoriale o di leggero valore superiore alla norma.

Spy x Family Code: White: una famiglia di spie

Spy x Family Code: White – la piccola Anya

I primi minuti di Spy x Family Code: White fungono da vera e propria introduzione per i neofiti della serie. Ci viene presentato Loid Forger, ovvero l’agente segreto Twilight che, al servizio del regno di Westalis, cerca di scongiurare un’escalation militare con il Paese rivale e confinante di Ostania. Lo farà attraverso un’operazione denominata “Operation Strix“, in cui dovrà crearsi una finta famiglia felice per infiltrarsi al meglio ad Ostania. Quello che Loid ignora, però, è che anche sua moglie Yor è un agente segreto: l’assassina Thorn Princess. Inoltre, la piccola figlia Anya è una telepate, e quindi conosce il segreto di entrambi i finti genitori. La narrazione inizia proprio dopo questo riassunto, attraverso un pretesto debole ma in linea con il tono della serie originale. Per aiutare Anya a vincere una gara scolastica di pasticceria, la famiglia si recherà nell’innevata cittadina di Frigis, dove però la vacanza sarà interrotta da un complotto militare.

L’intera trama si chiude praticamente qui e, per circa tre quarti di pellicola le scenette di ricerca degli ingredienti si susseguono una all’altra. La parte veramente interessante del film arriva solamente nell’ultimo atto, nell’ultima mezz’ora scarsa. Il complotto militare viene scovato e inizia l’azione, con l’animazione che vira su toni decisamente più maturi e artistici. Le scale cromatiche cambiano, diventano più alienanti, le forme artistiche diventano diverse e altamente godibili. In particolare il momento in cui Anya incontra il “dio delle feci” e l’intero complesso assume toni dal disegno pastello e mano completamente libera. Ma il pregio artistico del film si ferma qui, inscatolato in un continuo umorismo scatologico e quanto mai infantile e, guardando il personaggio di Yor, anche piuttosto maschilista. Un tentativo di innalzare tecnicamente un prodotto che, di base, presenta una scrittura povera di contenuto. Anzi, si appoggia soltanto su umorismo basico e legato ad espressioni esagerate e corpi quasi “slapstick”.

la situazione distributiva

Quindi Spy x Family Code: White compie un duplice movimento, o almeno ci prova. Sia quello di accontentare i fan, sia di portarne di nuovi mettendo in scena quello che la serie ha, di base, da offrire. Ma dal punto di vista di chi scrive riesce solamente nella prima delle due istanze. Presentare un prodotto che si basa su comicità bambinesca e ormai vecchiotta non giova di certo. E, nonostante sia un prodotto diretto ai giovanissimi e alle famiglie, l’impregnarsi di situazioni maschiliste al limite del ridicolo non porta acqua al mulino. Anche per un paese così culturalmente differente come il Giappone. Trova invece più slancio nei momenti in cui dimentica di essere indirizzato ad un target più giovane e si prende più sul serio, sia nelle sue azioni che nelle sue animazioni.

Il plauso principale al film va fatto in quanto, rispetto ad altri lungometraggi basati su serie famose, come già detto in precedenza, racconta una storia nuova, inedita. Cerca di avvicinare nuovo pubblico, fallendo però nella possibilità di distaccarsi dalla matrice e realizzare qualcosa che sia minimamente originale e nuovo. E chissà come si posizionerà, nonostante questo, in tendenza con gli ultimi anni di distribuzione anime in Italia, nel box office nostrano. Ma se qualcosa ci ha insegnato il maestro Miyazaki, è che in Italia c’è tanta, ma tanta voglia di grande autorialità animata in sala. Lo è una dimostrazione il successo senza precedenti de Il ragazzo e L’airone o la riproposizione in sala del capolavoro di Satoshi Kon Perfect Blue. Chissà se gli sforzi distributivi possano virare anche su tanto altro cinema d’animazione orientale che meriterebbe la sala ma che, in molti casi, addirittura, non vedremo mai qui da noi.

Alessandro Libianchi

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