
“I giornalisti bravi non hanno amici, solo fonti…” Quando la politica e il giornalismo giocano a ‘guardia e ladri’, e, chi fa il mestiere di cronista sa di dover essere prima di tutto un investigatore. “Ho una Saab con sedili in peluche“: Cal McAffrey è Russell Crowe, la sua automobile lo rispecchia. Un vecchia maniera della carta stampata, dal cuore tenero e le suole delle scarpe consumate: va di persona a fare domande, raggiunge la fonte, e non si accontenta, nel nome della verità. Stasera in tv “State of Play“, con Ben Affleck che è Stephen Collins, il politico che non potrà far a meno del suo amico giornalista.
A Washington, avviene la morte, in circostanze poco chiare, della bella assistente Sonia Baker (Maria Thayer), nonché amante di un giovane ed ambizioso deputato Collins (Ben Affleck). Egli non crede che si tratti di suicidio, perché quella mattina Sonia gli aveva mandato un video con tutta la sua allegria. Il politico, prossimo a rappresentare il suo partito nella corsa alla Casa Bianca, avrà la carriera compromessa dal crimine, e si farà aiutare da un suo amico giornalista. Il vecchio compagno di studi e di stanza, McAffrey (Russell Crowe). Lui, tutto pedinamenti e interviste scomode, scopre che la donna muore proprio nel punto cieco, senza telecamere, della metropolitana. Si intrecciano le strade, apparentemente distanti, del politico e del giornalista. L’uno avrà bisogno dell’altro. E in un vortice non solo di affari, ma anche di sentimenti: Anne (Claudia Catani), moglie del deputato, scopre di provare qualcosa per il giornalista. Nonostane i due avessero avuto una relazione in passato e lei lo avesse lasciato per l’attuale marito.
State of Play, duello tra verità e falso
Stasera in tv il film del 2009 del documentarista scozzese Kevin McDonald, che è la riduzione e il riadattamento, dell’omonima miniserie inglese della BBC di sei ore, “State of Play“. Russell Crowe e Ben Affleck sostituirono rispettivamente Brad Pitt e Edward Norton, scelti inizialmente come protagonisti. “La stampa offre il caffè agli amici“: piccoli espedienti di un cronista di razza, che porge uno Starbucks americano a colui che vuole far parlare. Con maestria, riesce a infilarsi negli oscuri lati delle vicende. Come un segugio, o un poliziotto sulle tracce giuste. Un ‘gladiatore’ della comunicazione, o l’ultimo giornalista romantico dal taccuino in tasca. Vecchia penna non mente. Concentrato sul mestiere, non si aggiusta neanche la scompigliata capigliatura. “Ti prego non fare gli occhi lucidi da cucciolo di giornalista, mi dà la nausea!”..
Lo spettatore resta incollato, rapito dai tempi frenetici del giornale che deve andare in stampa, e dalle scene da thriller. L’editore del giornale, rappresentato da Helen Mirrer, chiederà: “..voglio sapere anche il colore degli slip della vittima..”. È esplicita la crisi della carta stampata nel film, con le sue dinamiche sempre più manipolate: gli editori che vogliono gli scoop giornalieri per battere la concorrenza, con il gossip vero pane dell’odierno giornalismo. I colleghi reporter, affollano le conferenze stampa con i buffet, più che andare a scovare la notizia. L’ultima scena pare sia una rivincita del giornale di carta, inchiostro odoroso e velina nelle mani. “Il compito di un dottore è guarire i pazienti, il compito di un cantante è cantare. L’unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede.”
Federica De Candia. Seguiteci Su MMI e Metropolitan cinema