«Sei così bella, se solo fossi più magra!» è una frase che mi sento ripetere da ormai quasi dieci anni, colpevole la mia taglia 44, da chi è ancora troppo attaccata a certi stereotipi dell’immagine femminile secondo cui una donna, per essere bella, deve essere necessariamente magra. Non importano le mie obiezioni, il fatto che abbia imparato ad accettarmi e piacermi anche con quei chili in più, e che al mondo ci siano cose decisamente più importanti che la taglia dei jeans: non sarò mai completa e perfetta se supero un certo numero.
E quindi eccomi qui: una giovane donna “secchiona”, con gli occhiali, che ha studiato tutta una vita e che forse per questo “si è lasciata andare”. Sembra la trama di un film già visto, vero? Uno di quelli in cui la protagonista bruttina e sfigata va in palestra, si scioglie i capelli e toglie gli occhiali e diventa una strafiga, ovviamente per colpire il coprotagonista di cui è follemente innamorata ma che fino a quel momento non l’aveva calcolata (avvalorando lo stereotipo secondo cui una donna cambia il proprio aspetto e sceglie di migliorare per compiacere qualcun altro, non per se stessa). Proprio da questo cliché è nata la mia riflessione: come il cinema fortifica tutt’oggi gli stereotipi dell’immagine femminile?
Gli stereotipi dell’immagine femminile nei cliché cinematografici
Sicuramente la prima rappresentante degli stereotipi dell’immagine femminile sul grande schermo che sarà venuta in mente a chi sta leggendo questo articolo è Bridget Jones, interpretata da una Renée Zellweger che, non appena dimagrì e ricorse alla chirurgia estetica per ridurre i segni dell’invecchiamento, venne ricoperta di critiche. Poiché purtroppo questa è la prassi: se sei in sovrappeso (e Bridget Jones, a rivederla oggi, era una donna normale) allora vai bene, basta che ci fai ridere; se però dimagrisci e ti prendi cura di te sei falsa perché vuol dire che non ti accetti.
Un’altra attrice che ha avuto un destino simile è stata Rebel Wilson, che finché era in sovrappeso ha interpretato solo personaggi di donne buffe e pasticcione di cui però alla fine tutti si innamorano. In questo senso il cinema ci sta esplicitamente dicendo che, se sei una donna che non risponde ai canoni estetici della società, devi faticare il triplo per far sì che qualcuno ti guardi e ti apprezzi per come sei. Un viaggio lungo che si conclude nel compiacimento dell’altro, mai di se stesse. Ecco dunque che ancora una volta il cinema costruisce anche questi personaggi “sfigati” per soddisfare il male gaze, lo sguardo maschile. Il cinema, quindi, come specchio della società: il concetto di donna ricco di costruzioni e sovrastrutture che servono a compiacere l’uomo. Se rispondi a questi canoni, allora vai bene, sei sessualmente appetibile e puoi superare l’esame socio-patriarcale.
I personaggi femminili non sono dunque scritti per ispirare le spettatrici, per farle identificare in un modello forte, bensì per metterle in discussione e farle sentire sbagliate. Ne consegue che proveranno in tutti i modi a cambiare in virtù dei dettami sociali per non sentirsi più inadeguate.
Identità, orientamento sessuale ed etnia
Quindi, ricapitoliamo: se il personaggio che abbiamo davanti è una donna etero dovrà comunque compiacere la controparte maschile. Guai, però, a essere troppo disinibita: in quel caso ci troveremo dinnanzi a un personaggio di una senza scrupoli, una femme fatale contemporanea. D’altro canto è meglio comunque non essere troppo pudica: che noia dopo un po’; ecco che il marito perfetto finisce per tradire la moglie con la giovane amante.
Se gli stereotipi colpiscono le donne cisgender ed eterosessuali, teoricamente privilegiate per quanto riguarda la sessualità e l’identità di genere, figuriamoci cosa può avvenire con personaggi non eteronormativi. Le donne lesbiche risultano essere promiscue; quelle bisessuali confuse: menomale che alla fine c’è sempre l’uomo etero e virile a salvarle da un’omosessualità latente. E vissero tutti felici e contenti. Non le donne trans, però: a loro è riservato forse il destino peggiore. Quando gli va bene, non vengono minimamente rappresentate; quando gli va male, si fa sempre menzione della loro transizione, spesso interpretano prostitute e, nel caso italiano, sono doppiate da uomini.
Neanche a dirlo, il discorso sugli stereotipi colpisce anche l’aspetto etnico: sono ancora tante (troppe) le rappresentazioni razziste relative ai personaggi femminili (e non) non caucasici. Rappresentazioni ricche di classismo, maschilismo, razzismo e stereotipi che non rendono l’universo cinematografico inclusivo ma ancora tanto lontano da una rappresentazione dignitosa.
Supportare la cinematografia femminile vuol dire anche questo: riuscire a distaccarsi dagli stereotipi che capitalismo e maschilismo e far sì che sbocci il fiore di una nuova rappresentazione. Solidarietà femminile fa rima con liberazione.
Chiara Cozzi
Continua a seguire BRAVE anche su Instagram.
Ph: graziadaily.co.uk