Il concerto a Roma della Steve Gadd Band nelle idi di luglio non parte sotto i migliori auspici climatici, tant’è che l’organizzazione si trova costretta a dirottare la location dalla Casa del Jazz all’Auditorium informando noi avventori con un preavviso discutibile tramite due righe sulla pagina dell’evento. In buona sostanza da che ero pronto a dirigermi verso sud con adeguata tenuta estiva mi trovo costretto a stravolgere la rotta verso il nord con K-way al seguito per affrontare questa annunciata alluvione che ci ha costretti al chiuso ma, di cui non si è vista traccia.

L’inizio della serata viene stabilito per le 22 ed io che abito nella periferia est della città, nel quartiere di Centocelle, cosciente della realtà in cui mi trovo esco di casa con due ore di anticipo poiché viaggiavo con i mezzi pubblici. Alle ore 21:40 ero ancora sulla linea, di cui non conoscevo la tratta, che mi avrebbe lasciato proprio davanti il Parco della Musica e l’idea di entrare in ritardo mi stava innervosendo ma poi ho fatto un’azione che si è rivelata azzeccatissima per ristabilire il mio umore: ho chiesto informazioni all’autista sul tempo di percorrenza rimanente. Il gentile signore alla mia domanda:

“Mi scusi potrebbe dirmi quante fermate mancano per l’Auditorium?” mi risponde con un sorriso così: “‘A Le’, mancheno tre quattro fermate me pare…ma poi tanto quanno arivamo er bacherozzo ‘o vedi”. Il simpatico dipendente ATAC alludeva all’estetica del complesso progettato oltre quindici anni fa dal famoso architetto Renzo Piano…che ha trovato pareri fortemente contrastanti per lo stile e per la resa acustica delle sale: giudicate poco versatili nell’ospitare contesti musicali diversi da quelli prettamente classici…comunque entro in perfetto orario e questo accadimento mi rimembra nuovamente quanto sia importante, per vivere in una città come Roma, l’ avere fede.

Steve Gadd

Il leggendario batterista di Rochester apre il live stage con il brano “Where’s Earth?“, il flow è di gran classe ma anche molto appoggiato, questo trend continua anche nei successivi brani dell’album in scaletta “Skulk” e “Noman’s Girl“. Ma Steve Gadd è leggenda, ha il groove nel sangue ed anche due note possono essere fonte di grande inspirazione per qualsiasi batterista, inoltre i musicisti che lo accompagnano sono dei strumentisti d’eccellenza come David Spinozza alla chitarra che suonava con Gadd negli Image o il bassista Jimmy Johnson con cui c’è un solido feeling musicale.

Pensare di sentire lo Steve scatenato di Eric Clapton o quello virtuoso di Chick Corea e Michel Petrucciani era a monte un’ idea azzardata, in primis per il contenuto dell’album in promozione e forse anche per quella non più irrefrenabile esigenza di stupire perennemente il pubblico. Ma poi arriva il momento di “One Point Five“, brano forte della release, che si presta molto bene al primo solo della serata con suo il pattern Afro-Cuban in 6/8, ritrovandomi piacevolmente costretto nel ritrattare la teoria espressa frettolosamente un attimo fa…e raffiguro su Steve Gadd, in un mio volo pindarico, le sembianze del mitologico cavaliere nero di Gigi Proietti.

Steve Gadd’s Drum

Il concerto prosegue sviscerando i pezzi contenuti nel disco fino ad arrivare al bis in cui il batterista americano sceglie di giocare su un terreno senza segreti per lui come lo swing deliziandoci con un bellissimo solo da marching band…stile batteristico fortemente legato alle sue origini con il tamburo e diventato, nel corso della sua gloriosa carriera, un tratto inconfondibile. Chick Corea ha detto pubblicamente di lui: “Ogni batterista vorrebbe suonare come Steve Gadd perchè lui suona in modo perfetto”.