Sport

Steve Gleason e l’uragano Katrina, i lampi di un decennio fa

Agosto 2005, arriva Katrina

E’ tutto pronto per l’inzio della nuova stagione della NFL quando l’uragano Katrina decide di puntare verso gli Stati Uniti. Katrina è forte, spietata, indifferente alle passioni ed ai sentimenti degli uomini; i suoi venti soffiano ad oltre 250 km/h e si dirige verso New Orleans.

L’uragano Katrina (credits: Centro Meteo Italiano)

Quando la investe, Katrina la colpisce, la sommerge, la devasta. Katrina uccide. Nella sua rabbia vorticosa, Katrina si accorge di un edificio che sembra resisterle. E’ il Louisiana Superdome, lo stadio dove giocano i New Orleans Saints, che nel frattempo è diventato il rifugio per migliaia di sfollati. A Katrina non piace. Lo colpisce duro, gli strappa delle parti della copertura superiore, gli pratica dei fori sul tetto; il Superdome, malconcio e ferito, resiste e difende i rifugiati fino all’utimo. Alla fine Katrina si stancherà, cercando delle prede più facili altrove. New Orleans si sveglierà con il viso sporco di fango, bagnato dalla pioggia, dal sudore e dalle lacrime. Si riprenderà con lentezza, frastornata da tutta quella violenza.

Il Superdome dopo la devastazione dell’uragano Katrina (foto dal web)

I Saints rialzano la testa

I Saints giocheranno la stagione 2005 lontano da New Orleans, sballottati tra San Antonio e Baton Rouge, con un pessimo record di 3 vittorie e 13 sconfitte. C’è voglia di rinascita, però. C’è voglia di rialzarsi, di rimettersi in piedi, di correre e di lottare. I Saints assumono un nuovo capo allenatore, Sean Payton, ex allenatore dei Qb a Dallas; ingaggiano anche un nuovo quarterback dai San Diego Chargers, Drew Brees, che diventerà poi una colonna portante della squadra. Si arriva finalmente al 25 settembre 2006, quando il Louisiana Superdome è di nuovo pronto ad ospitare una partita di football, ristrutturato e riparato. Contro i rivali di sempre, gli Atlanta Falcons, lo stadio è strapieno, sold-out. Il match comincia, palla ai Falcons. Primo, secondo, terzo down senza esito; si va al punt.

La magia di Gleason

Entrano gli special team e, nelle file dei Saints, gioca Steve Gleason. Non è da solo; con lui, ci sono le vittime dell’uragano, gli sfollati, quelli che hanno perso tutto, quelli che hanno abbandonato la speranza. Con il casco dorato e la maglia bianca, Gleason è luminoso come un fulmine. Gleason è fulmine. Hai i lunghi capelli che escono dal casco, veloce ed elusivo come il vento. Gleason è vento. Fulmine e vento. Ed il punter dei Falcons, Michael Koenen, non lo vede, non può vederlo. Gleason blocca il punt, la palla rotola verso la end zone dei Falcons, dove viene ricoperta del compagno di squadra Curtis Deloatch; touch down, 7-0 per i Saints.

Gleason blocca il punt ed entra nella storia (Credits Deseret News)

Il Louisiana Superdome vibra, prende vita ed urla di gioia, di rabbia, di dolore. La gente sugli spalti salta, si abbraccia, si bacia, balla e piange. Finirà 23-3 per i Saints e Gleason diventerà il simbolo della voglia di New Orleans di tornare a vivere. Gleason si ritirerà prima che i Saints vincano il Superbowl nel 2009 ma la sua impresa sportiva non sarà dimenticata, al punto che i suoi ex compagni di squadra gli regaleranno, nel 2011, l’anello che tradizionalmente viene consegnato ai vincitori.

La terribile malattia

Gleason però comincia a star male, fa dei consulti medici ed alla fine gli viene diagonsticata la SLA, sclerosi laterale amiotrofica. Una malattia, una sentenza. Lui, come la sua città, non si arrende. Decide di filmarsi giorno  dopo giorno, costruendo una sorta di lettera per l’eternità, una capsula del tempo da tramandare al proprio figlio non ancora nato. Da questa è stato tratto un documentario, Gleason (2016), che testimonia la sua vita e la lotta alla malattia. Attualmente, Steve Gleason si muove su una sedia a rotelle e comunica aiutato da un computer che si aziona con il movimento degli occhi. Il suo punt bloccato è raffigurato in una statua, posta davanti al Superdome, sulla cui base si trova la scritta “REBIRTH“, rinascita, ed è stata inaugurata nel 2012 alla presenza della squadra, Gleason incluso.

La statua a ricordo del block di Gleason ( credits: fansided.com)

Per noi, lui resterà sempre quello del 2006, fulmine e vento, il simbolo della rinascita, della speranza, della voglia di vivere, di lottare, di vincere……… P.S.: dedico questo articolo a chi non si arrende, a chi lotta ogni giorno contro le avversità, a chi conserva la dignità. A Steve Gleason, alla sua famiglia, alle vittime di Katrina ed ai loro familiari.

 

 

Pulsante per tornare all'inizio