Il 10 marzo cade la ricorrenza di una vittoria importante per la libertà individuale: la contraccezione legalizzata. Risale al 10 marzo 1971 la sentenza con la quale la Corte costituzionale dichiarava illegittimo l’articolo 553 del Codice penale intitolato: “Incitamento a pratiche contro la procreazione“.
Per questo AIED (Associazione italiana per l’educazione demografica) darà inizio a una campagna di sensibilizzazione.

L’antica storia dei contraccettivi

I contraccettivi non sono un’invenzione delle società moderne. Egizi, greci, romani, indiani, ogni società ha alle spalle una lunga tradizione di rimedi naturali e oggetti occludenti.
In un compendio del 1550 a. C, in Egitto, si può leggere di un tampone (da non provare a casa) di mollica di pane e acacia. Forse i più insoliti rimangono i tamponi a base escrementi, di coccodrillo per gli egiziani, di elefante per gli indiani.
Inoltre erano ritenuti particolarmente efficaci anelli, palline e spugne inserite all’interno per impedire il passaggio degli spermatozoi, spesso gli oggetti erano ricoperti di erbe e creme spermicide.

In Cina e Grecia era pratica comune bere metalli, in particolare il piombo, per diventare sterili. Non mancavano effetti collaterali come insufficienza renale, danni celebrali, coma e morte; mentre i romani erano soliti praticare aborto e infanticidio come “metodo contraccettivo”. Esisteva anche la possibilità, ereditata dai greci, di abbandonare i figli presso la colonna lattaria (columna lactaria) posizionata nel foro olitorio, o mercato dei prodotti. Non era considerato un crimine né tantomeno un omicidio. I neonati abbandonati erano prede facili di mercanti di schiavi, venduti per prostituzione o riti.
Il Cristianesimo, nel lungo Medioevo, riuscì ad alimentare ostilità contro la contraccezione. Nel 1484, in una bolla papale, si condannava il metodo contraccettivo come uno strumento della stregoneria. Si puntò allora sull’uso del preservativo, il medico Gabriele Falloppio scriveva di un preservativo di lino bagnato in erbe e unguenti.

La contraccezione in Italia

Pompette, ditali, aspirali iniziarono a circolare nascosti dietro motivi terapeuti. In Italia, nel Novecento, la contraccezione era argomento di acceso dibattito. Negli anni Trenta del Fascismo era entrato in vigore l’articolo 533 del codice penale (Codice Rocco) con il titolo “incitamento a pratiche contro la procreazione” all’interno dei delitti contro “l’integrità e la sanità della stirpe”.
Solo nel 1971 la contraccezione diventa legale e le donne hanno così finalmente uno strumento sicuro, già in uso in alti paesi europei. La pillola contraccettiva, scoperta attribuita al biologo Gregory Goodman Pincus, arrivò in Europa nel 1961. All’inizio era venduta solo alle donne sposate e con il consenso del marito ed era indicata per il controllo del ciclo.
Dopo l’abrogazione dell’art. 533 il Ministero della Sanità autorizzò (1976) la vendita della pillola nelle farmacie come farmaco contraccettivo, in piena autonomia.
Il resto del cammino:

  • 1970 – Legge sul divorzio
  • 1971 – Abrogazione dell’articolo 553 C.P.
  • 1972 – Legge sull’obiezione di coscienza al servizio militare
  • 1974 – Referendum per l’abrogazione della legge sul divorzio (divorzio confermato)
  • 1975 – Riforma del diritto di famiglia passaggio: passaggio dalla patria potestà alla potestà genitoriale (pari doveri e dignità tra padre e madre)
  • 1975 – Legge istitutiva dei consultori familiari pubblici
  • 1978 – Legge “Basaglia” abolizione dei manicomi
  • 1978 – Legge 194 legalizzazione dell’aborto
  • 1980 – Referendum abrogativo sull’aborto (conferma della legge)
50 anni contraccezione - photo credits: aied
50 anni contraccezione – photo credits: aied

AIED festeggia la contraccezione

AIED, costituita nel 1953 con una comune ispirazione laica e democratica, voleva dare la più ampia informazione possibile sui metodi contraccettivi. L’AIED oggi ha più di 20 consultori familiari e divulga informazioni sulla sessualità, maternità responsabile e salute riproduttiva in Italia.

All’alba del terzo millennio, in Italia c’è un traguardo sul quale aggregare il l’impegno di tuttidice il presidente AIED Mario Puiattied è l’introduzione dell’educazione sessuale e affettiva come materia di insegnamento sui banchi di scuola. Siamo ormai il fanalino di coda in Europa, dove, per fare solo alcuni esempi, l’educazione sessuale è materia scolastica dal 1955 in Svezia, dal 1970 in Austria, dal 1995 in Germania, dal 2001 in Francia, dal 2017 nel Regno Unito“.
L’Italia si colloca 26esima, molto distante da Germania, Francia e Gran Bretagna, sulla scala che misura l’accesso alla contraccezione in Europa.

Ora più che mai è importante che questo diritto non venga cancellato. Giorgia Meloni ha affermato di voler proclamare Roma città pro vita. Con una mozione ha chiesto di predisporre “in sede di bilancio, un piano organico che rimetta al centro delle politiche capitoline la famiglia e la natalità e introdurre il quoziente famigliare“. Questo sarebbe una tassazione per favorire i nuclei famigliari, scrive Fanpage. Il motivo di tale attacco alla libera scelta sarebbe quello di alzare il tasso di natalità “pericolosamente in calo”. Anche se fosse vero, l’idea di una città baluardo dei negazionisti del libero arbitrio suona decisamente come scaduta, vecchia. Preoccupano gli attacchi alle donne, verbali e fisici, in questo 2021 che già conta 13 vittime di femminicidio.

“Auguri per i tuoi 50 anni” (1971 – 2021)

Il problema del discorso della Meloni non è tanto quello di cercare di aumentare le nascite. Il calo demografico in Italia è dovuto a molti fattori, di certo non solo per l’uso della pillola. Gli incentivi non sono da mettere in mano ai pro vita, al contrario devono essere messi a disposizione delle famiglie, dei giovani, ma soprattutto delle donne. Come ha scritto Filosofemme: “Non sembra possibile un punto di incontro tra libertà individuale e il bene collettivo“. Esploriamo la possibilità di investire per le donne, negli asili nido, nei servizi di cura se, come viene declamato, l’obiettivo è l’aumento delle nascite. Provare per credere.

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Articolo di Giorgia Bonamoneta.