GameinItaly #1 – Intervista esclusiva ai ragazzi di Storm in a Teacup

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Di Redazione Metropolitan

L’industria videoludica ha raggiunto, negli ultimi anni, un livello di importanza tale da poter rivaleggiare con media che, in passato, gli erano sempre stati superiori. Il videogioco è infatti diventato un mezzo di intrattenimento sempre più popolare e diffuso, oltre a fatturare ogni anno cifre che pian piano si stanno avvicinando a quelle del cinema.

Tuttavia, rispetto al resto del mondo, l’Italia non è ancora riuscita ad imporsi in questo campo con efficacia, ed alcuni tutt’ora non comprendono l’importanza che potrebbe rivestire. InfoNerd ha quindi deciso di dare maggior risalto alle software house italiane, che sviluppano ogni anno piccoli gioiellini.
Vi presenteremo oggi, nel primo appuntamento di GameinItaly, i ragazzi di Storm in a Teacup.

Storm in a Teacup - Photo Credits: Storm in a Teacup
Storm in a Teacup – Photo Credits: Storm in a Teacup

Storm in a Teacup – Intervista

Come è nato il progetto Storm in a Teacup?

Il nostro CEO, Carlo Ivo Alimo Bianchi, dopo una vita professionale passata in giro per il mondo con incarichi di responsabilità nelle maggiori aziende del settore (Ubisoft, Squaresoft, Warner Games…), ha deciso di tornare a casa e aprire il suo studio, per realizzare videogiochi capaci di emozionare ed esprimere il meglio del “made in Italy”.

Avete già realizzato diversi videogame: Enki, N.E.R.O., Lantern, ed in ultimo Close to the Sun. Di quale progetto siete più orgogliosi, e quale è stato il più difficile da realizzare?

Ogni progetto porta con sé sfide che ti fanno crescere e migliorare fra difficoltà e soddisfazioni. N.E.R.O. è stato il nostro primo videogioco, ha rappresentato l’avvento di Storm in a Teacup sul mercato, abbiamo iniziato a farci conoscere con quel titolo. Close to the Sun è stato il nostro primo vero prodotto mass market, un’impresa davvero impegnativa per uno studio piccolo come il nostro e proprio per questo forse ha rappresentato la nostra maggiore soddisfazione ad oggi.

Raccontateci come si sviluppa un vostro workflow creativo. Come nasce e come si sviluppa un gioco del brand Storm in a Teacup?

Nella maggior parte dei casi il tutto nasce da uno spunto, da un’idea. Carlo in questo rappresenta la scintilla che dà avvio al fuoco. L’intuizione creativa lascia poi il posto a concrete valutazioni di produzione e di marketing, per metterci in condizione di sviluppare un titolo che abbia potenzialità su un mercato altamente competitivo. Un po’ come avviene con il cinema, sviluppare videogiochi è un’arte che non può prescindere dal business: se il tuo progetto non è sostenibile, la tua idea, anche fosse la migliore del mondo, potrebbe non venir realizzata o portarti al fallimento imprenditoriale.

Ad ogni modo, stabilita l’idea di partenza, si procede a definire il concept di gameplay e la linea narrativa, si iniziano a buttare giù schizzi su schizzi per definire l’aspetto estetico e a cascata si comincia ad attivare tutta la macchina che coinvolge programmatori, 3d Artist, Animatori, Sound Designers, ecc. Poi inizia una corsa ad ostacoli verso una meta che sembra sempre irraggiungibile ma per la quale i tempi sembrano sempre troppo stretti…Una vitaccia, insomma!

Storm in a Teacup: su Close to the Sun

La vostra ultima fatica, Close to the Sun, ha avuto un discreto successo: Come è nata l’idea che c’è dietro?

Il processo è un po’ quello che ti abbiamo descritto sopra. Nello specifico, il risultato finale di Close to the Sun è il frutto di un lungo processo di raffinamento dell’idea originale, verifica della consistenza narrativa, continue limature per adattare la storia al gameplay e viceversa. Volevamo un gioco dalla storia importante, che celebrasse in qualche modo il genio di Nikola Tesla, ma lavorasse principalmente sui sentimenti e le emozioni umane. Compatibilmente con la tipologia di gioco che abbiamo deciso di realizzare, Close to the Sun avrebbe dovuto essere soprattutto il racconto di una giovane donna che si assume una responsabilità più grande di lei, una storia da sviluppare in un contesto narrativo molto più ampio e in grado di diventare lo sfondo per una serie di possibili avventure.

L’atmosfera alla Bioschock è presente nella realizzazione di Close to the Sun: quali altri giochi vi hanno ispirato?

La cosa più curiosa è che Bioshock non era inizialmente fra le nostre references: la nostra idea era quella di realizzare un’avventura in stile SOMA o Outlast, ma in chiave steampunk. Questa scelta stilistica ha portato giocoforza al confronto con Bioshock, che è stato il massimo rappresentante nell’adozione di questo stile e ne ha un po’ fagocitato gli stilemi. Close to the Sun però è un gioco totalmente diverso da Bioshock, e se da una parte il paragone ci ha sempre lusingato, era per noi importante far capire al pubblico che il nostro gioco è molto differente dall’opera di Ken Levine, con un approccio all’azione molto meno marcato e meccaniche più votate all’esplorazione e al puzzle solving.

C’è una Software House in particolare alla quale vi ispirate?

Nessuna in particolare, a dire il vero. In studio ognuno ha le sue preferenze fra titoli e sviluppatori, ma la società nel suo insieme non ha mai preteso di orientare la propria produzione sulla scia di altri.

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Sviluppare in Italia

Quali sono le maggiori difficoltà nello sviluppare videogiochi in Italia per una Software House indipendente? E invece quali i lati positivi?

Fare videogiochi in Italia è complicato in primis perché fare impresa è complicato qui. Il nostro paese è molto poco business-friendly, c’è troppa burocrazia, troppi vincoli che rendono difficile iniziare, crescere e prosperare. I lati positivi sono quelli che tutti ci riconoscono, ma che non sono direttamente legati alla produzione di videogiochi: in due parole la qualità della vita in generale è migliore di quanto non possano offrire altri paesi, ma ci si può davvero limitare a questo in una prospettiva imprenditoriale?

Quali sono le maggiori difficoltà nel far conoscere il proprio prodotto all’estero?

Il mercato del videogioco è per sua natura internazionale, paradossalmente è quasi più difficile farsi conoscere in patria che all’estero. Ad ogni modo sono sicuramente utili le partecipazioni alle principali manifestazioni di settore, GDC, Gamescom, le varie Games Week…

Sul First Playable Fund

Quanto sarebbe utile il First Playable Fund per voi, ed in generale per il panorama videoludico italiano?

Il First Playable è un piccolo passo nella giusta direzione. In sé non svolta le prospettive di una società già avviata, ma aiuta a sostenere una nuova produzione nel momento del concepimento, quindi è un piccolo strumento i cui pur limitati apporti sono i benvenuti. Per società più piccole può essere un’utilissima spinta iniziale, che non dà garanzie di successo, soprattutto alla luce del panorama generale dell’imprenditoria in Italia, ma è qualcosa.

Come è percepito, secondo voi, ad oggi il videogioco in Italia come media?

Come sempre siamo in ritardo. Di lustri rispetto ad America e Asia, di anni rispetto al Nord Europa. Solo ora sta faticosamente facendosi strada l’idea che produrre videogiochi sia un’attività di cui tenere conto, che può avere ricadute positive per il Paese e per il suo tessuto economico. Quando un prodotto italiano avrà finalmente grande successo, probabilmente si innescherà quel processo di accettazione collettiva che altri paesi, anche considerati meno avanzati di noi, hanno vissuto e stanno vivendo.

Perché secondo voi l’Italia videoludica è indietro rispetto ad altri paesi europei, e perché secondo voi c’è la volontà di ritirare il First Playable Fund?

Da noi la ricerca e sviluppo di tecnologia procede per vie quasi sotterranee. Non ci sono reali incentivi o ottica di lungo periodo che induca ad investimenti in campi meno noti e riconosciuti… Sono venuti meno lo spirito di frontiera e la voglia di innovare. La volontà di ritirare il First Playable Fund sembra legata alle stesse logiche di mantenimento dello status quo e gestione del consenso che anima la grande maggioranza della nostra classe politica.

Qualche consiglio a chi intraprenderà la dura vita da Sviluppatore

Che consigli dareste a dei team italiani che si stanno approcciano per la prima volta alla realizzazione di un videogioco?

Lasciate perdere!!! Scherzi a parte, approcciate lo sviluppo con entusiasmo, ma anche con consapevolezza e pianificazione. Non si tratta di realizzare un progetto, ma di porre le basi per essere in grado di continuare a realizzarne.

Potete anticiparci qualcosa sui vostri progetti futuri? State lavorando ad un nuovo videogioco?

Stiamo lavorando a qualcosa di nuovo, ma è davvero troppo presto per iniziare a parlarne…Se ci verrete a trovare più in là, saremo felici di riprendere il discorso!

Non ci resta che ringraziare i ragazzi di Storm in a Teacup per la disponibilità e fargli i complimenti per il duro lavoro. Troverete qui tra qualche giorno lo speciale sul loro splendido Close to the Sun!

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