Una storia agghiacciante quella che racconta lo stupro della 19enne di Atene. La ragazza era vittima di violenze sessuali da parte del padre. Abusata dall’età di 11 anni e successivamente segregata per giorni, la sua storia è una spirale torbida di violenza. Dopo la denuncia, grande manifestazione femminista ad Atene.
Veniva ripetutamente picchiata e costretta a prostituirsi da un poliziotto 39enne, Dimitris Bouyoukos. L’orrore di questa vicenda sembra non avere mai termine. Cercheremo di entrare in punta di piedi, di raccontare tutto. Ma soprattutto, di riflettere sul corpo della donna e su quanto ancora dovrà subire.
Stupro, violenza, prostituzione: una speranza salva la diciannovenne
Sabato, è mattina. Ci troviamo in una caffetteria di Iliupoli, zona residenziale di Atene. Una barista nota una giovane ragazza piena di lividi e botte. In un periodo di indifferenza e deresponsabilizzazione generale, la barista fa una scelta rivoluzionaria. Scelta che cambierà per sempre le sorti di una vittima di atroci violenze. Decide di non fare finta di nulla, sceglie di vedere. Si rivolge alla ragazza e con fare discreto le dice che se ha bisogno di aiuto. Le dice che la può trovare lì, che lei è a disposizione.
Questo atto di sorellanza permette, nelle ore successive, che la ragazza si senta finalmente vista. Si tratta di un gesto semplice, ma di una potenza che solo l’alleanza può generare. La diciannovenne timidamente acquisisce fiducia. Infatti tornerà dalla barista, questa volta chiedendo aiuto in modo esplicito.
“Lui” la picchia. Non è in grado di raccontare la vicenda, è in stato di Shock: ma tanto basta. La barista la nasconde, e inizia una storia di sorellanza che vedrà coinvolta tutta la città. Le due vedono insieme il carceriere uscire di casa in moto alla ricerca della ragazza. Qui richiedono l’intervento della polizia e dell’avvocata Antonia Legaki. La sorellanza s’infittisce. Ma la rete di donne che si avvolgeranno attorno a questa ragazza è sorprendente.
Le donne si scontrano con la cultura Greca, impreparata a eventi come lo stupro:
Ma la storia non è in discesa. Perché ora che bisogna denunciare, emerge il problema alla radice di episodi agghiaccianti come questo. La denuncia di abusi e violenze – che comunque fino a pochissimo tempo fa aveva un costo di 100 euro – è in grecia un vero è proprio calvario per le donne.
La vittima è costretta spessissimo a dover dimostrare di stare dicendo la verità, a subire sminuimenti della loro storia. Il tutto sino a doversi confrontare, molte volte, con interventi informali e deleteri dei poliziotti che, invece di prendere quantomeno la denuncia, rimandano a casa la donna. Successivamente – sembra incredibile ma è così – contattano il marito per suggerirgli “da uomo a uomo” di cambiare atteggiamento “con la madre dei suoi figli”, condannando così la donna a ulteriori abusi, botte e maltrattamenti per aver cercato di scappare. Si tratta piuttosto, lo dicevamo all’inizio, di un problema di gran lunga più strutturale.
A seguito dell’intervento della polizia, la ragazza è stata portata alla stazione di polizia. Lì ha subito un lunghissimo interrogatorio atto a stabilire la veridicità della sua storia. Solo successivamente è stata accompagnata in ospedale per le visite. Durante le quali, ha dichiarato successivamente alla sua avvocata Antonia Legaki, gli agenti sono entrati in ambulatorio per comunicare al personale che la stavano ispezionando e che si trovava in stato di arresto. Per questo, durante le 12 ore successive all’intervento della polizia, le è stato impedito di parlare con la sua avvocata.
Una riflessione sulla struttura dello Stato rispetto alla vicenda:
«Per molte ragioni, in Grecia è sempre esistita una debole presenza della sfera pubblica e una sfera privata fortemente prevalente all’interno della quale vengono risolte questioni che invece in qualche modo dovrebbero essere pubbliche, come ad esempio lesioni della giustizia e dei diritti, e anche questioni relative alle relazioni private. (…) Il che significa ovviamente anche ruoli tradizionali dei generi, fissati e immutabili nel tempo. Non consideriamo adesso che i modelli di relazione sono apparentemente più liberi e moderni, dietro a questa facciata si nasconde, comunque, questo fattore molto conservatore che resiste ancora nel modo in cui si risolvono i problemi nelle relazioni interpersonali».
Thodoris Zeis, avvocato
La riflessione dell’avvocato Zeis racconta di questa storia e porta a conclusioni evidenti. Bisogna intervenire sulla mentalità del possesso patriarcale, invece di delegare eventi simili alla “follia” o alla sfera del “privato” . Si tratta di un’azione di delegittimazione dell’evento. Ma non solo, è un metodo astuto per raccontare l’accaduto, lo stupro, senza prendersi la responsabilità di intervenire profondamente. Senza pestare i piedi e nessuno. L’operazione compiuta dall’opinione pubblica la dice lunga su questo. Si tende sempre più a spettacolarizzare la violenza privata: questo distoglie abilmente l’attenzione dalla violenza strutturale del Patriarcato.
Lo stupro, il processo, la sollevazione di Atene:
È stata una manifestazione potente, quella del 13 Luglio, che ha voluto dimostrare solidarietà e vicinanza alla ragazza. Ma che precisamente, come l’avvocata Antonia Legaki sta facendo ormai da giorni, non si è neppure risparmiata di puntare il dito contro il “sistema dello stupro”. Esattamente come nella canzone “Un violador en tu camino”.
«fino a tre o quattro anni fa in tutta la Grecia esistevano solo due strutture pubbliche d’accoglienza per donne che avevano subito violenza, ad Atene e al Pireo, presso i relativi consultori, in una nazione che, storicamente, come dicevamo prima, aveva questa necessità sia di prevenzione che di repressione della violenza, ma anche, e soprattutto, di cambiamento culturale e comportamentale».
Thodoris Zeis, avvocato
Infatti, nella capitale Atene il solo centro ad oggi funzionante, è il centro Diotima, gestito da una ONG. Il centro ha un ruolo immensamente importante, come si può immaginare. Tuttavia stenta a sopravvivere per mancanza di fondi e di un supporto sistemico che lo integri de facto nei processi di contrasto alla violenza di genere. L’ONG di riferimento, per trovare il denaro necessario a sopravvivere è spesso in balia di bandi di assegnazione di servizi specifici. Servizi che anche per motivi di rendicontazione, ne limitano le possibilità e il campo di azione.
Uno Stato in crisi, uno Stato Patriarcale:
La crisi, i tagli e la fine del programma avvenuta nel 2013 ha di fatto tolto ai 14 centri antiviolenza istituiti in tale contesto la linfa per poter sopravvivere, sino a farli chiudere.
«Inoltre è praticamente impossibile istruire il personale (di polizia, ndr) per queste evenienze, dal momento che è in rotazione oraria, non è mai lo stesso e comunque le strutture educative tipiche della polizia non permettono il passaggio del sapere acquisito tra i colleghi: ognuno impara per sé. Inoltre, va considerato che la polizia è caratterizzata come corpo da una forte connotazione mascolinizzante, soprattutto dal punto di vista dell’agire, essendo un corpo di repressione e di imposizione forzata della legge, è evidente quindi come non possa essere adeguata ad accogliere la sopravvissuta che oltre ad essere fisicamente violata sta anche affrontando un trauma psicologico.»
Thodoris Zeis, avvocato
Non è un avvenimento che si può circoscrivere alla violenza o alla follia di un singolo. L’agghiacciante stupro con spirale di violenza porta a riflessioni più ampie. In una sostanziale mancanza formale di un regolamento che tuteli le vittime di maltrattamenti e violenze nel momento della denuncia, non può avvenire altro. Se le vittime sono sempre costrette a confrontarsi con uno Stato Patriarcale e del tutto impreparato, che succedano cose del genere è del tutto prevedibile.
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Articolo di Maria Paola Pizzonia