Nella “zona di libertà” dichiarata recentemente dal Parlamento europeo per le persone LGBTQI dei Paesi dell’Unione, c’è chi di libertà addirittura si approfitta: si fanno chiamare “Super-straight”, e sono arrivati in Italia a bordo di un hashtag (#Superstraight) lanciato in un video di TikTok, lo scorso febbraio, da un adolescente che risponde all’username “Kyleroyce”. Tradotto in italiano, i “Super-etero” sono gli eterosessuali che provano attrazione solamente per chi si riconosce nel proprio sesso di nascita. Un gioco di parole riassunto nella sigla “SS“, che se ci rimanda alle Squadre di salvaguardia naziste, non è del tutto errato. Perché il paragone diventa necessario. Solo che, una volta erano “puri”, adesso sono “super”.
Nel video, diventato immediatamente virale, il ragazzo spiega apertamente di essere un “super-etero” non solo perché non intende uscire con donne trans, ma anche perché non le considera vere donne. “Quindi ora sono super-etero”, ha difatti annunciato. “Esco solo con donne che nascono donne. Non potete dire che sono transfobico adesso, perché è solo la mia sessualità”. Un annuncio, quello di Kyle, che, tra l’altro, era in cerca di alleati perché, impresso sullo schermo, si chiedeva “Chi è super-etero?”: una domanda a cui alcuni transgender hanno immediatamente risposto mostrando la loro indignazione, e dichiarando la ‘nuova tendenza’ come transfobica. Tanto che Royce è stato costretto ad eliminare il video: “L’ho rimosso perché ho ricevuto minacce di morte”.
“Super-straight”: l’origine del termine
Nonostante egli si innalzi orgogliosamente a fondatore della “super-straight”, la tendenza SS potrebbe avere, in realtà, origini più antiche dell’eroico manifesto di Kyle. Da poco inserita nella LGBTA Wiki, la definizione sarebbe infatti nata su “4chan”, un luogo in cui proliferano i peggiori trend dell’internet: dall’antisemitismo, alla misoginia, alla disinformazione più totale, e in cui – come se non fosse già abbastanza – vengono garantiti anonimato e cancellazione dei contenuti dopo un certo arco di tempo. Un posto in cui dar sfogo ai propri pensieri ‘avanguardistici’, quindi, sentendosi sempre tutelati e al sicuro. La LGBTA Wiki, inoltre, ha dichiarato che, se anche non fosse nato da lì, il termine “è stato molto velocemente adottato da 4chan per tentare deliberatamente di diffondere l’immaginario nazista, come una forma di reclutamento dell’estrema destra e per creare una spaccatura tra le persone trans e il resto della comunità”. Una tesi rafforzata dal fatto che “il termine è stato rapidamente adottato dai TERF [Trans exclusionary radical feminism, un sottogruppo del femminismo radicale caratterizzato soprattutto da transmisoginia] e da altri transfobici per diffondere affermazioni disumanizzanti e ideologie esclusiviste/transfobiche”.
La cosa insolita è che il mondo LGBT+ è proprio quello a cui aspirano di appartenere i paladini di questa nuova corrente, non senza destare terrore: perché ciò che sostengono è che la loro non sia una semplice nonché legittima preferenza, ma una vera e proprio “identità sessuale”. Una pretesa che suona più come un minaccia, se si pensa che chiunque un giorno possa svegliarsi dando un nome alla propria identità sessuale e rivendicando che questa debba essere anche tutelata perché appartenente ad una “minoranza”. Perché se dici “preferisco non avere rapporti con una persona trans” non sei transfobico. Sono i tuoi gusti e vanno rispettati. Diversamente, c’è un problema: quello che il “popolo italico” ha dimostrato di avere rispondendo “presente” all’adunata. Basta scorrere le centinaia di contenuti pubblicati sui social negli ultimi giorni per accorgersene. Su Twitter, ad esempio, “Mister Totalitarismo” ci illumina spiegando che è giusta la creazione di questa categoria, così tanto “per chiarire immediatamente che non si vuole uscire con nessun transessuale e dunque evitare di cadere nel reato di transfobia”. Da aggiungere al documento d’identità, in pratica. Mentre qualcun altro, più umile, si accontenterebbe di dichiararsi super-etero e basta, perché “siamo liberi” e “ci piace solo il sesso opposto cisgender – scrivono su TikTok – i trans li consideriamo del sesso di nascita, chiamarci transfobici è come chiamare un gay eterofobico perché non gli piacciono le ragazze”. Resta, dunque, da capire come dovrebbe chiamarsi una persona omosessuale o bisessuale che un giorno deciderà di dichiararsi non attratta da persone trans. Perché, forse, “super-gay” o “super-bisex” non renderà l’idea.
Tali dichiarazioni hanno, senza stupore, scosso la comunità LGBT+, in particolare quella trans che, da subito, si è schierata contro questo sedicente ‘orientamento sessuale’, dando vita ad una serie di polemiche che hanno visto i due gruppi schierarsi l’uno contro l’altro: “Quando gli etero si annoiano e hanno voglia di provare l’ebrezza di far parte di una minoranza oppressa diventano super-straight” affermano da un lato, sottolineando quanto il termine di per sé serva solo a giustificare l’omolesbotransofobia. E il punto in effetti sta qui. Perché dichiarare le proprie preferenze non è sbagliato, e non è un reato. Ma dire che “le donne trans non sono vere donne” rappresenta il punto di partenza della pericolosità strisciante di certi movimenti, nonché la distruzione di tutta una serie di lotte portate avanti dai transessuali: quella stessa categoria che loro intendono invalidare, quando resta tuttora una delle più discriminate di sempre. Nel 2020 sono stati 44 i transessuali assassinati negli USA, mentre l’Italia nel 2016 vantava il primato europeo per omicidi di persone trans. Ecco perché ricordarci di essere “super-etero” non era così urgente.
Fra l’altro, ritorna la questione linguistica: la stessa aperta in merito al dibattito “Direttore o direttrice” durante l’ultimo Sanremo, per il quale si è parlato a lungo sulle motivazioni che dovrebbero spingere una donna a dichiararsi in un modo piuttosto che nell’altro. La Venezi, in particolare, fautrice del dibattito per aver chiesto al presentatore Amadeus di chiamarla “direttore d’orchestra”, aveva messo in primo piano la voglia di sottolineare la professionalità ed il merito, che prescindono dalla declinazione al femminile del termine. Una scelta, anche questa, poco contestabile, se ci si limita ai confini della preferenza. Ma in una società in cui è ancora necessario rimarcare l’esistenza delle donne, non serve nessun accademico della Crusca che ci ricordi dell’evoluzione del linguaggio per capire che, insieme al linguaggio, anche i diritti hanno bisogno di evolversi, e dunque di essere chiamati con il loro nome: quello al femminile. Così come, con il tempo, è diventato importante indicare sessualità, orientamenti e preferenze. Un ambito costantemente in trasformazione, in cui, sta volta, è stata lingua ad arrivare con un lieve ritardo, rispetto a realtà che esistono dalla notte dei tempi e che spesso non erano, e non sono, considerate meritevoli di un nome proprio: basti pensare alla grande varietà di termini con cui le persone oggi possono identificarsi. Tuttavia, il problema nasce nel momento in cui le questioni sfuggono di mano, perché se è vero che le parole servono a definire la realtà, è anche vero che, a volte, più che la realtà, definiscono chi le dice. Come in questo caso: perché i super-etero si definiscono da soli.
Francesca Perrotta