Ogni riferimento plurale o singolare è improprio perché Telefon Tel Aviv è un progetto che nasce nel 2001 a Chicago dall’incontro di due musicisti americani: Charles W. Cooper e Joshua Eustis; poi nel gennaio del 2009 Cooper scompare, e il suo corpo viene ritrovato il giorno successivo senza vita.
Dopo aver abbandonato il progetto per un certo periodo, Joshua Eustis nel 2013 comunica sul sito dei Telefon Tel Aviv che un album uscirà di lì a breve; di fatto oggi Eustis si esibisce da solo e alterna pezzi vecchi a pezzi nati dal nuovo assetto da solista.
Per la performance di ieri al Monk, Eustis ha preparato un percorso che parte da suoni gracchianti che ricordano le vecchie pellicole. L’obiettivo sembra quello di farti piombare in un universo datato, come a voler creare un arco temporale. La parte centrale è composta di pezzi pieni di suoni di natura diversa, che creano quegli effetti spaziali che rendono subito riconoscibile il progetto, poi arriva la cassa dritta, arrivano i bassi bassissimi di quelli che ti appiccicano i vestiti al corpo.
Il percorso si chiude con suoni ampi, interventi vocali che sembrano femminili. Si torna alla natura, ai boschi, a cieli più ampi.
Il pubblico è inizialmente gelato. Eustis è serioso per buona metà della performance, poi si ferma, saluta il pubblico, dice quelle due cose in italiano, sorride. Riprende a suonare e a qualcuno viene persino voglia di ballare, ma solo un po’.
Rimane la solita perplessità sulla musica elettronica contemplativa. Resta una cosa per pochi eletti, e la riconosce (quella ben fatta) solo chi la fa. È interessante, è lucida, è complessa, ti prende un secondo e poi ti molla, ma troppo spesso non parla di te, e non parla di nessuno.