Il progetto di The Creator è nato quasi per caso. Lo ha detto lo stesso Gareth Edwards. Nasce da un viaggio in macchina e dal domandarsi cosa si possa provare nello scoprire da zero il mondo. Se è vero che l’argomento delle IA non è nuovo alla settima arte, è altrettanto vero è che Edwards lo mette in scena, per certi versi, in modo nuovo. E riuscire a farlo in questo momento storico assume tutta un’altra forma. Le IA fanno ormai parte della nostra quotidianità e vederle sotto la veste del film, rende il tutto più inquietante. The Creator non è un film perfetto. Ha dei grossi problemi di scrittura. A partire dal suo protagonista piuttosto bidimensionale e guidato quasi da una follia cieca d’amore, senza meta e scopo. Ma Gareth Edwards ha messo in piedi un mondo che respira e che vive. Si alimenta di cyberpunk e di Vietnam allo stesso tempo. Ingloba Blade Runner, Akira e Apocalypse Now sotto la stessa ala e li fa suoi, senza mai risultare derivativo. Secondo noi non basta per renderlo, come viene detto, uno dei film di fantascienza più importanti del secolo. Ma sicuramente The Creator è un punto di arrivo quando si parla di world building, messa in scena e sull’importanza di trattare temi delicati come la stessa esistenza umana.
The Creator: un 2070 alle porte
Nel 2070, la guerra tra uomini e intelligenze artificiali è ormai quotidianità. Le IA, che avrebbero dovuto aiutare gli umani, hanno preso coscienza di sé. Non una coscienza collettiva ma singola, diventando una vera e propria nuova specie. Dieci anni prima, Los Angeles è stata colpita da una bomba nucleare lanciata proprio dalle IA. Joshua Taylor (John David Washington) viene convinto dagli USA a partecipare alla missione di ricerca di Nirmata, il misterioso creatore delle intelligenze artificiali, e di una fantomatica arma segreta delle macchine, a patto di ritrovare la moglie perduta mentre era sotto copertura nella Nuova Asia, luogo dove i robot (perché di quello stiamo parlando) hanno trovato asilo. L’arma si rivelerà una bambina in grado di porre fine alla guerra e, a quanto pare, distruggere l’umanità. La prima parte di pellicola in tutto questo è quella che funziona meglio. Lo sviluppo del mondo immerge direttamente in miscuglio tra nuovo e vecchio, tra sacro e profano e tra umano e macchina. Gareth Edwards gira il film in modo minuzioso e mai manieristico. Sono evidenti le influenze avute da George Lucas e Star Wars (ha girato Rogue One, il miglior film di guerre stellari dell’era Disney), così come quelle di altri capisaldi dello sci-fi. Da Alien a Blade Runner, passando per Akira e Alita, Edwards costruisce un mondo che non risulta mai falsificato. Ma anzi, ogni suo elemento è gestito alla perfezione. dalle nuove tecnologie alle armi, fino alla grande minaccia del NOMAD, la grande base militare che fluttua in cielo con il compito di scovare e sterminare le basi IA. E la sezione a metà tra tempio buddista e base futuristica è meravigliosa e riassume perfettamente quello che la pellicola riesce a gestire: l’animo umano e la spiritualità, con la voglia di vita delle intelligenze artificiali. The Creator è quindi un film pacifista e antiguerra che immerge lo spettatore in un mondo credibile e mai fallace, rendendolo partecipe di un futuro che sembra sempre meno distopico. In tutto questo, il discorso che viene portato avanti sulla fallacia dell’esistenza umana è azzeccato e affrontato alla perfezione. Il conflitto tra USA e Nuova Asia prende le sembianze della guerra del Vietnam sotto una nuova veste. Se prima era la minaccia comunista ora è la minaccia delle macchine. Il nemico è diverso ma l’ideologia non cambia volto, rimarcando e criticando, ancora una volta, quanto l’imperialismo americano sia distruttivo ed egoistico. E tutta questa narrativa, portata avanti in un blockbuster che non ha paura di parlare anche di sentimenti profondi, è una ottima boccata d’aria nuova.
Perdersi in poco
Il problema principale di The Creator, a nostro avviso, risiede nella scrittura della seconda parte portata avanti da Gareth Edwards e Chris Weitz. Partendo dal suo protagonista, mosso solamente dall’intenzione cieca di ritrovare una moglie che lui stesso aveva visto morire. La sua evoluzione è scarsa e poco incisiva. Si convince, sì, dell’umanità delle macchine, ma lo fa quasi per dovere narrativo e mai per vera e propria presa di coscienza. Alcuni dialoghi, purtroppo, risultano didascalici e legati ad un cinema ormai stantio. In particolare, nell’atto finale, sembra di rivedere un cinema muscolare anni Novanta, con il classico generale cattivo che dalla sua torre d’avorio cerca di uccidere i buoni che tanto non potranno morire, perché protetti da una plot armor che per due ore di pellicola non si scalfisce neanche. Ed è un vero peccato, perché The Creator si perde nelle piccole cose che non riescono ad elevarlo e a rendergli giustizia. Tutto il tono del terzo atto è sicuramente più povero del resto della pellicola. E e nella costruzione del mondo e nei discorsi etici e morali il film è una perla, si va a disperdere in elementi totalmente inutili e che stonano totalmente con l’accento generale. The Creator giudica, mette a nudo e critica delle ideologie in modo spettacolare e convincente, perdendosi però, in alcune sue parti, in un bicchier d’acqua.
Alessandro Libianchi
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