“Ero diventato membro di quella che in quei giorni era una specie di massoneria, la massoneria dei cinefili, quelli che chiamavamo malati di cinema. Io ero uno degli insaziabili, uno di quelli che si siedono vicinissimi allo schermo. Perché ci mettevamo così vicini? Forse era perché volevamo ricevere le immagini per primi, quando erano ancora nuove, ancora fresche, prima che sfuggissero verso il fondo, scavalcando fila dopo fila, spettatore dopo spettatore, finché, sfinite, ormai usate, grandi come un francobollo non fossero ritornate nella cabina di proiezione”.The Dreamers – I sognatori”, stasera in tv. Un film di Bernardo Bertolucci, del 2003, incessante e infinito, senza titoli di coda..

Champs Elysées, Boulevard, e l’aria dalla Senna a primavera. È Parigi nel 1968. Contestazioni e baguette sotto braccio. Rifugio dorato per Matthew (Michael Pitt), studente americano nella capitale per studiare il francese. Schivo a socializzare, l’unico suo rifugio diviene il cinema. Così travolgente, fieramente audace, da trasportarlo in una realtà parallela, e distante. Dove le regole non sono quelle umane, civili, ma ne vengono scritte di nuove. “Forse lo schermo era veramente uno schermo, schermava noi, dal mondo. Ma ci fu una sera nella primavera del ’68 in cui il mondo finalmente sfondò lo schermo.

Dreamers, ‘esistono solo prove d’amore’

“E così incontrai per la prima volta Théo e Isabelle. Sentivo il cuore che mi batteva forte. Non so se fosse perché ero stato inseguito dalla polizia o perché ero già innamorato dei miei nuovi amici. Camminavamo e parlavamo, parlavamo. Parlavamo di politica e film, e di come i francesi non fossero mai riusciti ad avere un buon gruppo rock. Avrei voluto che quella notte non finisse mai”. Complice l’occupazione della Cinémathèque française da parte degli studenti, avviene l’incontro con Isabelle (Eva Green, al debutto a soli 23 anni, la dea per lo stesso Bertolucci), e il fratello gemello Théo (Louis Garrel figlio del regista Philippe Garrel), che ospiteranno l’amico americano nel loro lussuoso appartamento. Scorgerà in loro un’intimità estrema, incestuosa. Divenendo amante di entrambi, in un delirio di erotismo, giochi perversi, in una completa alienazione dalla realtà. “Non uscivamo quasi più di casa ormai. Non sapevamo né volevamo sapere se fosse giorno o notte. Era come se stessimo andando per mare, lasciando il mondo lontano, dietro di noi”. 

Citazioni cinefile, stasera in tv in “The Dreamers – I sognatori”, per accontentare gli appetiti di celluloide. E per gli appassionati di scandali, l’abbondanza di nudi, il peccaminoso e discinto triangolo, sazierà la più estrema delle tentazioni. I tre disinibiti parigini, troveranno il tempo, appannati tra i sentieri del piacere, di controbattere se sia più comico Chaplin o Keaton. O, davanti al manifesto di Marlen Dietrich, di fare la “penitenza”, strana punizione imposta dalla sorella al fratello. L’intento romantico-sentimentale, è da svelare e cercare, sotto le immagini che puntano ai genitali, e ai pruriginosi momenti esibizionisti.

The dreamers, i bollori del ’68

Un nuovo tipo di “sconcezza chic”, ed intellettualismo snob. Tre giovani sessantottini, tra fughe e polizia sognavano davvero di riformare il sesso? Tratto da “Holy Innocence“, un racconto di Gilbert Adair, che ha scritto anche la sceneggiatura per il film; gli innocenti diventano Dreamers, e sognano, soprattutto quelli del ’68. Nel film tutto è sensuale, languido, intimo. Questo peccato francese, che sa un po’ di Freud (le nevrosi hanno origine sessuali diceva il maestro), e di morbosità, non ha rimorsi, ed ignora il buon costume e la morale cattolica. “Io non credo in Dio, ma se ci credessi sarebbe un chitarrista nero e mancino“. Jimi Hendrix osannato. “Ho letto ne “Les Cahiers du Cinéma” che un regista è come, come un guardone, un voyeur. È come se la macchina da presa fosse… il buco della serratura della porta dei tuoi genitori. E tu li spii, e sei disgustato… e ti senti in colpa… ma non puoi fare a meno di guardare. Fare i film è come un reato. Un regista è come un criminale. Dovrebbe essere illegale“.

La voce narrante viene accompagnata dal brano di Jimi Hendrix ” Third Stone From The Sun“, e nella scena in cui i tre protagonisti rientrano a casa bagnati fradici dalla pioggia, suona “Queen Jane Approximately” di Bob Dylan. In un’intevista Bernardo Bertolucci dichiarò: “Il senso del film è il tentativo di raccontare ai giovani lo spirito di quel momento. Erano giorni in cui i giovani erano attivi, presenti. C’era la certezza di un futuro di speranza, utopia. L’illusione che con la trasgressione si poteva cambiare il mondo. E invece oggi i ragazzi non sanno nemmeno cosa sia stato il ’68. Non se ne parla, nemmeno tra i figli di chi il ’68 l’ha fatto. Forse perché c’è imbarazzo, o il senso di un fallimento. Una bella differenza con quei giorni in cui c’era una grande confusione tra politica, amore per il cinema e la musica, il sesso”. Anche i sogni non sono mai innocenti, diceva Freud. D’accordo con Bertolucci.

Federica De Candia. Seguici sempre su MMI e Metropolitan Cinema!