“Born Naked” è la nuova rubrica dedicata al cinema queer e lgbt+, e non poteva esserci modo migliore per inaugurarla parlando del film queer e camp per eccellenza.
È il 1975 infatti quando Jim Sharman firma uno dei capolavori della storia del cinema, trasposizione di uno spettacolo teatrale inglese che solo due anni prima aveva avuto un enorme successo: The Rocky Horror Picture Show.
The Rocky Horror Picture Show al microscopio
Let’s go see the man who began it
Nato dalla mente di Richard O’Brien, The Rocky Horror Picture Show resta fin da subito impresso nella mente del pubblico, ma non per i motivi sperati. Lo considerano infatti talmente esagerato ed eccessivo che gli esercenti hanno un’unica soluzione: relegarlo al circuito dei Midnight Movies, riservato alle pellicole pornografiche.
Tuttavia da quel momento si registra subito una particolare tendenza: il pubblico che accorre alle proiezioni è sempre lo stesso, settimana dopo settimana. File di spettatori aspettano fuori dai cinema, indossando gli abiti dei protagonisti del musical.
Ma è in sala che scatenano la propria vera natura.
Un’emancipazione decennale
È nelle piccole sale in cui viene proiettato The Rocky Horror Picture Show che si registra un fenomeno fino ad allora mai visto. Il pubblico è infatti talmente coinvolto dalla proiezione da imparare a memoria le battute dei personaggi, anticiparle, commentare le loro azioni ma, soprattutto, replicarle. Ecco che, oltre ai costumi, gli spettatori portano con sé degli oggetti da utilizzare all’interno della sala… ma con quale scopo?
Ombrelli, pistole ad acqua, riso e carte da gioco sono soltanto alcuni dei props che il pubblico porta con sé e che utilizza durante la proiezione (ad esempio, l’ombrello viene aperto quando Brad e Janet raggiungono il castello sotto la pioggia). Il motivo è quello di possedere il film. L’audience di The Rocky Horror Picture Show, agli albori, è infatti composta prevalentemente da outsider: individui che non avevano alcuna figura in cui immedesimarsi, né un film in cui potessero rispecchiarsi, ma che potevano finalmente trovare conforto ed empatia con il protagonista per eccellenza della pellicola: il Dr. Frank-N-Furter.
A sweet transvestite
A vestire i panni dello scienziato alieno è Tim Curry, trasformista del cinema (celebri le sue interpretazioni del clown Pennywise in It o del signore del male Tenebra in Legend). Ma Frank-N-Furter è molto più che un semplice travestito.
Questi è infatti una perfetta cuspide del gender: uomo sì, ma anche donna, negli atteggiamenti e nei sentimenti. Celebri sono le canzoni Don’t dream it, be it e I’m going home, in cui Frank viene a patti con se stesso e le proprie emozioni e rivela come ha abbracciato la sua duplice natura. Grazie alla visione di King Kong (la pellicola del 1933), l’allora piccolo Frank capisce che non c’è nulla di sbagliato nel rivedersi nel gigantesco gorilla… né, tantomeno, nel rivedersi nella bella Fay Wray.
Abbracciare la propria sessualità e la propria identità significa liberarsi da quei pregiudizi che non permettono di essere se stessi ed esprimersi al meglio. Frank-N-Furter rappresenta al 100% il periodo della rivoluzione sessuale in cui si inserisce lo stesso The Rocky Horror Picture Show, e al contempo è una critica vivente al conservatorismo tradizionalista americano, rappresentato da Brad e Janet.
La parabola religiosa
Il film e il percorso di Frank divengono allora il riflesso della vita di Cristo, essere superiore creato “a immagine e somiglianza dell’uomo” il cui compito è espiare i peccati dell’umanità attraverso il proprio sacrificio.
Dopo aver liberato Brad e Janet dal peccato della verginità e aver celebrato la cosa con un’orgia in un’acqua purificatrice, Frank è pronto ad immolarsi. Viene ucciso dal “fedele” maggiordomo Riff Raff, che incarna in quest’ottica un fantascientifico Giuda.
Liberatosi di Frank, Riff Raff e la sorella Magenta possono tornare sul pianeta Transexual con il loro castello-astronave, da cui cacciano Brad e Janet, moderni Adamo ed Eva cacciati dall’Eden.
Let’s do the Time Warp again
The Rocky Horror Picture Show è ancora un cult della storia del cinema dopo l’esordio nel 1975 sul grande schermo, avvenuto inizialmente in sordina.
Complice un cast perfettamente adatto, scenografie tra il pop ed il gotico, riferimenti al mondo dell’arte e del cinema e una colonna sonora catchy, non stupisce che ancora oggi riesca a guadagnare nuovi fan.
Che sia grazie ai tributi sul piccolo schermo o a teatro, il film è ancora perfettamente in grado di incantare e coinvolgere i suoi spettatori, creando una vera e propria comunità di fan attorno all’oggetto filmico.
Il suo astro non accenna minimamente a tramontare, incastonando sempre di più il film nel firmamento dei cult movies.
Le note del Time Warp risuonano ancora nell’aria dopo mezzo secolo, e nessuno può sottrarsi al suo ritmo irresistibile.
Chiara Cozzi
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