Con il suo arrivo nei negozi a meno di un mese, The Last of Us Part II ha già fatto parlare di se. E’ sicuramente uno dei titoli più attesi da parte di critica e pubblico e ci aspettiamo un vero successo in termini di vendite, malgrado il polverone riguardo il leak delle scorse settimane, i preorder cancellati e i continui rinvii. Eppure, noi di Metropolitan Magazine, pensiamo che The Last of Us Part II sarà un punto di svolta per tutti i videogiochi da qui alla prossima generazione. Vi spieghiamo perché!

The Last of Us Part II userà la nostra intelligenza emotiva per far fronte alle situazioni

Sembra essere un progetto nato sotto una cattiva stella: originariamente annunciato nel 2016, i lavori su The Last of Us Part II sono iniziati subito dopo il lancio di Uncharted 4, il secondo progetto della software house californiana. Uno sviluppo travagliato e non esente da critiche: come già accennato in un articolo dedicato al titolo, Naughty Dog è stata accusata di crunch time e le alte aspettative di Sony sembravano essere la motivazione che ha spinto gli addetti ai lavori a compiere straordinari.

Annunciato per Febbraio e poi posticipato a fine Maggio, a causa dell’emergenza COVID-19, il titolo è stato ulteriormente posticipato e stavolta, in via definitiva, arriverà da noi il 19 Giugno 2020.

Da grandi sostenitori di Naughty Dog, ci aspettiamo un videogioco di qualità, le nostre alte aspettative sono dovute prima di tutto al fatto che dietro le quinte, oltre alla bravura di Neil Druckmann e colleghi, c’è la sceneggiatrice Halley Gross che abbiamo già apprezzato nella serie tv Westworld. Questo dà all’opera, come già visto dai trailer rilasciati nel corso di questi anni, un lignaggio molto più cinematografico rispetto al predecessore.

Cinematografia a parte, siamo convinti che The Last of Us Part II ridefinirà il nostro approccio ai videogiochi. Cambierà totalmente il nostro stile di gioco perché i game designer hanno fatto in modo che tutto sembrerà reale e il loro obiettivo primario è quello di renderci protagonisti assoluti. Come possiamo essere protagonisti della vita di un personaggio con una sua propria indipendenza, con le sue idee e azioni?

Facendo in modo che i suoi sentimenti possano colpirci nel profondo.

Gioia, tristezza, rabbia, senso di colpa, “fame” di sopravvivenza. Condivideremo con Ellie tutto questo, seppur consapevoli di far parte di un’opera di finzione.

E’ ciò che si chiama in psicologia intelligenza emotiva.

L’intelligenza emotiva, costrutto psicologico introdotto per la prima volta nel 1990, indica la capacità di riconoscere, utilizzare, e comprendere le nostre emozioni e quelle degli altri. Questa presa di consapevolezza ci aiuta ad essere più empatici e, di conseguenza, ci permette di guidare i nostri pensieri e le nostre azioni in base a quello che abbiamo provato o abbiamo visto negli altri.

The Last of Us Part II ci permetterà di fare esperienza e prendere coscienza della nostra intelligenza emotiva. Noi, in quanto esseri umani sociali, ne facciamo uso ogni giorno, al lavoro, in famiglia o con gli amici. Nei videogiochi di oggi, come Red Dead Redemption 2 o Death Stranding, in cui veicoliamo l’azione dei nostri personaggi in un mondo dinamico e realista, facciamo esperienza dell’intelligenza emotiva.

Malgrado si discosti dalla natura open world, The Last of Us Part II si spingerà oltre rispetto ai titoli suddetti perché, malgrado l’ambiente circoscritto alla trama, sarà un ambiente vivo e dinamico e si adatterà alle nostre scelte. Scelte che saranno fatte in collaborazione con la protagonista Ellie, in uno scambio silenzioso sorretto dalle nostre intelligenze emotive in connessione.

Difficile parlare di “intelligenza emotiva” di un personaggio virtuale. Ellie, Joel e tutti i personaggi del mondo post-apocalittico di The Last of Us sono modellati sulla base delle nostre caratteristiche umane: sono sbagliati, fragili, distrutti. Sono degli antieroi. Negli antieroi, proprio perché non esenti da difetti, troviamo il nostro corrispettivo e siamo più portati a provare empatia con loro. In altri videogiochi, in cui seguiamo passivamente le vicende dell’eroe di turno, ci affezioniamo al personaggio in quanto tale, vorremmo essere come lui, ma non siamo come lui.

Come accennato nel video “Inside the Gameplay” pubblicato tre giorni fa sulla pagina Youtube di Naughty Dog, è stato detto che il mondo del secondo capitolo di The Last of Us sarà così vasto che non saremo in grado di fare esperienza di tutto ciò che sta accadendo alle nostre spalle.

Questo comporta un grande valore aggiunto nei videogiochi, ma soprattutto ci dà quella sensazione di ansia e metterà a dura prova la nostra capacità di pianificazione di una giusta strategia.

Se dovessi andare da A a B, sceglierò la via più breve e con meno nemici, ma chi mi può dire cosa succederà se dovessi scegliere quella più lunga? Ci saranno delle vite da salvare? Munizioni o kit medici che mi torneranno utili in un secondo momento? Cosa potrebbe succedere se non andassi a soccorrere un mio concittadino andato in pattuglia per cercare dei rifornimenti?

Neil Druckmann non si è sbilanciato sulla natura di cosa sta accadendo alle nostre spalle durante la campagna di The Last of Us. Possono essere dettagli di trama, oppure quest secondarie che si attiveranno come in “Sconosciuti e Folli” di GTA V?

Questo non lo sappiamo, ma sicuramente quello che dobbiamo aspettarci è “sopravvivere” in un mondo dinamico.

Spesso abbiamo la sensazione che in un videogioco, durante la nostra azione, tutto il resto si ferma, le ripercussioni delle nostre azioni in quel mondo virtuale sono pari a zero. Quante volte abbiamo messo a ferro e fuoco Vice City per poi ritrovarla così com’era?

Facciamo respawn, i nemici morti in battaglia “scompaiono” dallo schermo volatilizzandosi e di conseguenza, deumanizzandosi. Non c’è valore nella vita di una persona che abbiamo fatto fuori. Era un nemico, dovevo “salvarmi la pelle” e quindi, la sua presenza andava contro la regola numero uno dei videogiochi: non fare game over!

In The Last of Us Part II ogni nemico che uccideremo avrà un nome, come sappiamo. I suoi compagni inizieranno a chiamarlo e, una volta trovato il suo corpo esanime, inizieranno a disperarsi. Andranno in una minuziosa ricognizione per farcela pagare. Indicheranno l’ultima zona in cui ci siamo nascosti. Se dovessero vedere qualcosa nell’erba alta, cercheranno solo nell’erba alta. Si abbasseranno, guarderanno oltre un ostacolo.

In Metal Gear Solid 2 ci si aiutava con una piccola mappa sullo schermo che indicava il campo visivo del nemico e spesso seguiva, complice il limitato hardware del tempo, delle traiettorie ben precise, era facile eluderli. In The Last of Us Part II (e si spera anche nei titoli futuri) questi pattern precisi non esisteranno più e avremo a che fare con dei nemici quasi reali. Il nostro stealth, di conseguenza, dovrà essere più strategico ed efficace per evitare il più possibile spargimenti di sangue. Per evitare, paradossalmente, di sentirci in colpa.

L’odio e il senso di colpa saranno i temi principali di The Last of Us Part II e guideranno la storia di Ellie e la sua “discesa” verso gli inferi. Avere un approccio spietato come quello dei nostri nemici ci farà provare rabbia, emozioni negative, frustrazione, tristezza. Possiamo accettare quello che sta accadendo intorno a noi oppure allontanarci.

Si arriverà ad un momento in cui i confini tra il bene ed il male diventeranno labili, rarefatti. Nel mondo così dilaniato creato da Druckmann e colleghi questa netta distinzione non esiste più: il bene e il male non sono divisi da un muro ma da una sottile cortina di nebbia, che potremo oltrepassare a nostra discrezione.

The Last of Us Part II cambierà radicalmente il nostro modo di videogiocare e di rapportarci al videogioco. Qualsiasi nostra azione, maturata dopo la gestione delle nostre emozioni, avrà delle ripercussioni. Giuste o sbagliate, che siano.

Ellie e Joel sono i nostri personaggi preferiti proprio per questo: deboli, sbagliati, determinati, perduti. In attesa della redenzione… si spera!

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