Tim Robbins, quel barattolo conservato dopo “Le ali della libertà”

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Di Federica De Candia

“Perché a volte, l’uomo non era per niente un uomo. Ma era un bambino. Un bambino sfuggito ai lupi. Un animale notturno, invisibile, silenzioso che vive in un mondo inaccessibile agli altri. Un mondo di lucciole rivelato soltanto da un chiarore appena percepito… già svanito al momento in cui ti concentri per guardarlo“. Clint Eastwood lo diresse in “Mystic River” nel 2003. Il ‘capolavoro inquietante’ girato in soli 39 giorni; Tim Robbins vinse l’Oscar come miglior attore non protagonista. Erano gli anni novanta quando fu eletto dall’Empire Magazine uno degli uomini più sexy del cinema, nonché inserito nella lista delle100 star di maggior rilievo. Quello che non dicono le cronache, lo racconta il fascino magnetico di Tim Robbins.

Il tormentato personaggio di Dave Boyle, il bambino rapito e violentato nel thriller di stati d’animo “Mystic River“, è stato creato proprio da Robbins, miscelando sapientemente le due anime che da sempre hanno caratterizzato le sue interpretazioni sceniche: l’ingenuità di “Genio per Amore“, e la l’ambiguità di “Arlington Road“. L’attore, regista e drammaturgo americano, dal suo metro e novantaquattro di altezza, misure straordinarie anche ad Hollywood, è a sorpresa un battagliero: il teatro e il cinema devono tornare ad essere della gente, a disposizione di tutti. Non culture d’élite e fenomeni di nicchia.

Tim Robbins, il bell’amico di Fo

Questi eccelsi ideali, Tim Robbins li ha appresi dal nostro Dario Fo. “Conobbi Fo a Milano. Non penso che riusciremo veramente a capire la sua eredità culturale per i prossimi trent’anni. Capita a chi racconta verità universali”; “È stato quando ho letto ‘Morte accidentale di un anarchico’ di Dario Fo che ho capito che anche io avrei potuto scrivere per il teatro“. E Tim preparò uno spettacolo, intitolato “Rifugiati“, che ha debuttato a Los Angeles e girò in tournée nel mondo. Interpretato da attori di diverse nazionalità, tutti figli di migranti, e delle storie dei famosi barconi. Un dovere per lui, perché gli americani sono tutti stati dei migranti.

Strapagato per interpretare un film, potrebbe viverne di rendita, ma stupisce un suo interesse alla commedia dell’arte, e il desiderio futuro di poterla rifare in scena: “Perché i vostri Arlecchino, Brighella, Pantalone raccontavano alle persone semplici le loro storie, prendendo di mira e sbeffeggiando i potenti. Erano spettacoli coraggiosi che si facevano per strada e non solo nei ricchi palazzi dell’epoca“.

Tim Robbins, sulle ali dell’amicizia..

Conservo ancora un barattolo con i sassi del muro“. La reliquia risale a quando fu girato “Le ali della libertà” (The Shawshank Redemption), nel 1994 insieme a Morgan Freeman. Un film per cui ancora oggi Tim Robbins viene fermato per strada e ringraziato, per quel messaggio di speranza e seconde possibilità, propri della pellicola, che inizialmente non trovò accoglienza nel pubblico. Così, divenne prezioso “il barattolo con i sassi del muro che spargevo nel cortile sul set”. Quando l’ergastolano protagonista del film, chiede e ottiene, un martelletto per intagliare la roccia. Lui e l’iconico Morgan Freeman, divennero amici veri: “Ci siamo presi subito, abbiamo iniziato a conoscerci prima delle riprese con dei barbecue”. 

Sul set di (“Bull Durham”) Un gioco a tre mani, del 1988, incontrò Susan Sarandon con la quale ha convissuto senza mai sposarsi per 23 anni e due figli, Jack e Miles. Anche se, in quel film, il pensiero va subito a Morgan Freeman. C’era anche lui sul campo da baseball con indosso un reggicalze. Quentin Tarantino disse del film: “Ogni volta che un personaggio è veramente figo in un film, tu vorresti vestirti come lui o bere la birra che beve lui..”. Mentre Tim rischiò la propria incolumità nella famosa scena de “Le ali della libertà“; quando Andy, fuggito dal carcere, si immerge in una pozza di fango e acqua sporca creatasi dopo il temporale. Nascondiglio per portare a termine l’evasione. L’immersione poteva essere tossica, ma nessuna controfigura fu chiamata, solo il coraggioso Tim che non si tira mai indietro.

Federica De Candia per MMI e Metropolitan Cinema. Seguici!