Titane è costato 6 milioni di euro ed è stato prodotto da Jean-Christophe Reymond, Jean Yves Rubin, Cssandre Warnauts, Oliver Père, Philippe Logie, Anne-Laure Declerck e Christophe Hollebek. La sceneggiatura è stata scritta dalla stessa regista Julia Ducournau.
Il cast vede come protagonisti: Agathe Rousselle, Garance Marillier e Vincent Lindon.
La trama e piccola recensione di Titane
Il film inizia riprendendo una giovane con il viso piena di lividi, che viene prelevata dai doganieri dell’aeroporto. Una volta interrogata, sostiene di essere Adriane Legrand, una bambina scomparsa dieci anni prima. Vincent, il padre di Adriane, che non ha mai smesso di cercarla, al settimo cielo per aver ritrovato la figlia, la porta a casa. Proprio nello stesso periodo, però, una serie di misteriosi omicidi inizia a colpire la zona dove abitano padre e figlia e Vincent dovrà indagare sulla loro origine: sembrano collegati al ritorno a casa di Adriane.
Succedono più cose (sconvolgenti e memorabili) nei primi cinque minuti di Titane di Julia Ducournau che in una bella fetta di pellicole viste in concorso qui al Festival di Cannes 2021. È un dato neutro, su cui poi lo spettatore farà le sue valutazioni, considerando che thriller come questo per livello di violenza e provocazione sono riservati a un pubblico adulto e sono divisivi per natura.
La regista dell’esordio fulminante Raw (un piccolo cult del 2016 poco noto in Italia) conferma la sua predilezione per pellicole che inchiodano lo spettatore alla poltrona con un crescendo di audacia e un continuo infrangere i limiti, non esenti però in questo caso da una sottile ironia di fondo (spassosissimo l’inserimento della Macarena in un contesto straniante del film). Il gioco vale la candela o è una vuota provocazione? Qualche limite strutturale Titane lo mostra nello svolgere la propria trama; basta pensare a come il punto focale del film a cui il titolo fa riferimento venga poi affrontato e risolto sbrigativamente nell’ultima scena. Di un viaggio però più che la meta bisogna godersi il percorso e questo titolo è una continua discesa a rotta di collo sulle montagne russe, senza mai passare una lenta salita.
Sarà lei la protagonista della pellicola, giovane donna di natura ribelle e distruttiva, affetta da una disturbante fascinazione per tutto ciò che penetra e buca la carne umana; anche la sua. In fuga da una lunga scia di sangue e da un famiglia che le è totalmente indifferente, Alexia troverà rifugio presso un pompatissimo caposquadra dei pompieri interpretato da un notevole Vincent Lindon, in un ruolo davvero differente dalla sua galleria di ritratti drammatici, per cui si è preparato fisicamente per ben due anni. Mentre Alexia cambia il suo corpo e la sua identità per ingannarlo, il protagonista maschile della pellicola si riconcilia con una paternità interrotta dalla scomparsa del figlio Adrien in giovane età.
Si parla di padri peculiari e madri spericolate in Titane, ma la famiglia (nemmeno in chiave disfunzionale) sembra essere davvero d’interesse al film, giocato invece su una serie di contrasti, su immagini forti, sul gusto di un repentino cambio di registro che strappa una risata nel pinnacolo della violenza e trova l’affetto all’apice del dolore. Il limite del film è che a tenere insieme queste scene è più la voglia di divertire e provocare rispetto al preciso commentario che faceva da solida base a film come Videodrome di Cronenberg, che questo genere di “horror carnale che ibrida il corpo e smembra la mente” l’hanno lanciato.