Tragedia greca, torniamo a parlarne con la regista Alessandra Casanova. La nascita e l’evoluzione dalla Grecia all’impero romano fino ai giorni nostri
Dalle tante interviste a registi teatrali, così come anche nei focus sui grandi drammaturghi, nel corso dell’ultimo anno abbiamo imparato a conoscere la tragedia greca (ma anche la commedia) in tante diverse declinazioni, a seconda della visione che ciascun artista ha voluto conferirle e della scuola di formazione e/o del background che ne ha influenzato l’approccio, sempre con originalità.
Torniamo a parlarne, questa volta con la regista ravennate Alessandra Casanova, figlia dell’attore e regista Renato Casanova, allievo di Sharoff e, in un secondo approfondimento, con l’autore emiliano Giuseppe vecchi. Rinomata sostenitrice del teatro di tradizione, sia nell’ambito della scuola di teatro amatoriale che dirige dal 2004, che della compagnia teatrale, entrambe intitolate a Luigi Rasi.
Dove le opere di autori quali Eschilo, Sofocle, Euripide, si affiancano ad altre più recenti, della drammaturgia russa di fine Ottocento, con un posto privilegiato ai lavori di Anton Cechov. Ma anche Georges Feydeau e Oscar Wilde.
La tragedia, “canto del capro”, animale sacro a Dioniso
Alessandra, quando e come nasce la tragedia?
“Nasce verso la metà del VI secolo a.C. in Grecia. La parola Tragedia significa “canto del capro”. Il caprone era l’animale sacro a Dioniso e la tragedia nasce quindi dai canti in onore del dio Dioniso!” .
La figura dell’attore inventata dal tragediografo Tespi
Quindi non ci sono ancora attori?
“Si pensa sia stato Tespi, tragediografo vissuto in Attica nel 6° secolo a.C., ad introdurre un personaggio dialogante con il coro. Viene ‘inventato’ il ruolo dell’attore e nasce il teatro. Con gli anni, le leggende mitologiche sostituiscono i temi dei canti in onore di Dioniso e questo ci porta alla tragedia classica”.
Le innovazioni di Sofocle, Euripide ed Eschilo
Gli scrittori più importanti del tempo?
“Possiamo ricordare Eschilo, che introduce nelle sue tragedie un secondo attore, Sofocle che ne aggiunge un terzo ed Euripide nelle cui tragedie il coro si stacca dall’azione”.
Pochi attori che recitano parti diverse e solo uomini
In scena quindi possono recitare solo pochi attori?
“Sì. In scena oltre al coro che è formato da circa 12 coreuti, possiamo avere al massimo 2 o 3 attori. Solo uomini perché alle donne è vietato recitare”.
L’uso di maschere e parrucche per capire sesso ed età del personaggio
Ma i personaggi delle tragedie sono di più.
“Infatti. Ogni attore deve recitare diverse parti. Differenzia i vari personaggi indossando maschere (molto grandi perché i teatri possono contenere fino a 20 o 30 mila persone e devono essere visibili da molto lontano!). Se interpreta un ruolo femminile, la maschera è chiara, se il ruolo è maschile la maschera è scura. Per rappresentare le varie età si usano parrucche. Bionda se il personaggio è giovane, scura se il personaggio è di mezz’età o bianca se è anziano”.
La tragedia come mezzo di riflessione collettiva sui grandi temi dell’esistenza
La tragedia ha sempre un esito nefasto?
“La maggior parte delle volte. Ogni tragedia rappresenta una vicenda nella quale i personaggi si confrontano con problemi etici o religiosi. La loro scelta è spesso sbagliata e il finale è tragico. Ma possiamo trovare anche catastrofi che ribaltano una situazione positiva oppure il protagonista infrangere divieti divini e venir punito per questo”.
La tragedia dopo la dissoluzione della civiltà greca
Come si evolve la tragedia greca?
“I primi ad imitarla sono i latini e dobbiamo ricordare il grande Lucio Anneo Seneca. Durante il Medioevo viene dimenticata, ma ritorna ad alti livelli nel 16° e 17° secolo in Inghilterra con Shakespeare e in Francia con Corneille e Racine.Durante il Romanticismo si afferma in Germania con Goethe e in Italia con Alfieri e Manzoni”.
E nel ventesimo secolo?
“Possiamo ricordare Hugo von Hofmannsthal che, nel 1903, scrive una splendida Elettra. Una tragedia ispirata all’opera omonima di Sofocle e dedicata ad Eleonora Duse. Anch’io, con la Compagnia Luigi Rasi di Ravenna, l’ho portata in scena con successo e spero di poterla ripresentare”.
Quindi il pubblico è ancora favorevole a questo genere teatrale, rappresentato con i costumi d’epoca e assoluta fedeltà al testo?
“Direi di sì. Il fatto che il pubblico non sia più abituato a questo genere non vuol dire che non lo accetti più. La tragedia classica mantiene un fascino indiscusso e fa riemergere l’importanza dei valori fondamentali che muovono la nostra vita ed albergano in tutti noi”.
Ci sono autori emiliano-romagnoli che fanno rivivere l’antica tragedia e con cui hai lavorato?
“Sì. Ho collaborato con lo scrittore reggiano Giuseppe Vecchi che, seguendo i canoni dell’antica tragedia, ha scritto alcuni testi molto interessanti. La sua Ifigenia è stata rappresentata in prima assoluta da noi nel 2018 ed è stato un successo”.
A cura di Anna Cavallo