Il treno Mosca – Bruxelles passa per l’Ucraina

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Di Redazione Metropolitan

Il braccio di ferro che si gioca dal 2014 tra Putin e l’Europa sulla questione ucraina fonda le sue radici molti anni fa, nel periodo della dissoluzione dell’impero sovietico, momento storico fondamentale per comprendere i conflitti che hanno coinvolto la Federazione Russa (direttamente o indirettamente) negli anni a venire. Il conflitto in Ucraina può essere letto in questa chiave?

Integrità territoriale. Potrebbe sembrare un concetto antiquato, largamente superato nella vecchia Europa dai confini ormai assodati e sicuri almeno dal secondo dopoguerra. Alla fine degli anni novanta tale integrità per la Federazione Russa era a dir poco incerta, la caduta del sistema sovietico aveva fatto emergere rivendicazioni di autodeterminazione da tutti gli angoli dell’impero. Dei circa duecentonovanta milioni di abitanti dell’Urss, poco più del 50% era di etnia russa. Il resto della popolazione professava un credo diverso (perlopiù di fede islamica) e parlava una lingua diversa dal russo, covando un risentimento verso Mosca sopito solo dalla ferocia della repressione, in particolar modo stalinista. Dal 1989 all’inizio dei 2000 il vuoto di potere al Cremlino non ha giovato allo stabilizzarsi della situazione, alternando momenti di estrema durezza a momenti di apertura, con la vecchia nomenclatura che ha – di fatto – consegnato il paese a burocrati e corrotti, rendendo il processo di dissoluzione alquanto umiliante per il popolo russo.

Putin e Boris Yelstin nel 1999 (foto dal web)

A risollevare l’onore della Federazione e lo spirito del popolo, proprio nel 1999, arrivò l’uomo giusto al momento giusto, Vladimir Putin. Nelle sue prime uscite pubbliche come capo dello stato, Putin non fa mistero di quelle che sono le priorità della sua presidenza. Prima fra tutte vi è per l’appunto l’integrità territoriale della Federazione, minacciata (a suo dire) da agenti esterni che favorirebbero i vari movimenti nazionali. In quest’ottica si può leggere l’estrema risolutezza del Cremlino nell’affrontare la crisi del Dagestan e la seconda campagna cecena. Lo spirito di rivalsa che albergava da tempo nell’opinione pubblica russa, appagata dalla durezza del neo presidente su tali questioni, fu fondamentale per la vittoria schiacciante dello “zar” alle elezioni del 2004. La crisi Ucraina ebbe inizio con la rivoluzione arancione (2004) e la conseguente svolta filo europea di Kiev fortemente osteggiata dal Cremlino.

Le pressioni di Mosca nei confronti del nuovo governo Yushenko, appoggiato da Europa e Stati Uniti, si tradussero in una “guerra del Gas” che, insieme all’incapacità dei neoeletti di rivoluzionare il disastrato sistema ucraino, portò alla bocciatura alle urne per gli arancioni e all’elezione di Viktor Yanukovych, personalità molto vicina al Presidente Putin. Nonostante la delusione causata dal fallimento della Rivoluzione Arancione, il paese rimane profondamente spaccato sulla figura di Yanukovich, il quale può vantare una buona base elettorale nell’est russofono del paese, ma è accusato dalle elitès di Kiev di essere troppo vulnerabile rispetto alle pressioni del Cremlino.

E di pressioni ce ne sono state. La firma dell’accordo di associazione all’UE, che sarebbe dovuta avvenire al vertice di Vilnius nel Novembre 2013, saltò proprio a causa del forte ascendente di Mosca sul presidente ucraino, oltre che ad una politica di “terrorismo commerciale” che impediva di fatto alle merci ucraine di essere esportate in Russia (primo partner commerciale). La mancata ratifica di questo trattato creò le condizioni affinchè la protesta delle opposizioni si polarizzasse a Kiev, in piazza Maidan. L’escalation che ne seguì portò alla fuga di Yanukovich e all’attuale conflitto, che insanguina ancora oggi il paese.

Militare russo “senza insegne” in Crimea (foto dal web)

La Crimea e il Donbass, regioni al confine orientale, sono abitate in maggioranza da popolazioni di etnia russa, e il successo delle proteste di piazza Maidan è stato letto dagli abitanti di questa zona del paese come un colpo di stato illegittimo. Mosca, contemporaneamente, si è vista minacciata dentro casa sua: il Cremlino ha da sempre considerato l’Europa dell’est come una sua zona di influenza, e l’eventuale entrata dell’Ucraina in Europa – nonché l’adesione alla NATO -, nella nuova Russia di Putin sono state interpretate senza mezzi termini come un attacco diretto rivolto alla Federazione ad opera del nemico di sempre, la NATO. La stessa Alleanza Atlantica creatrice dello scudo missilistico nell’Europa Orientale, ufficialmente in chiave anti iraniana, spiegazione che ovviamente non convince Putin. Dopo l’annessione della Crimea avvenuta nel 2014, ufficialmente ad opera di milizie locali ma in realtà con il coinvolgimento diretto dell’esercito russo, l’attenzione di tutti (meno che dei media occidentali) si è spostata nel Donbass, dove da tre anni ormai si sta combattendo una guerra silenziosa che ha causato 9000 morti.

Le milizie filorusse di Donetsk e Lugansk detengono il controllo sulla maggior parte di questa regione. Le sorti del conflitto sembrano volgere in direzione Mosca, mentre il morale delle truppe ucraine è basso e aumentano ogni giorno le diserzioni. Al contrario, le milizie ben equipaggiate dal Cremlino avanzano, essendo composte per lo più da volontari convinti di combatter per l’integrità del loro territorio. Gli accordi di Minsk del 5 Settembre 2014 non hanno portato nessun risultato: il rispetto di tali accordi, che prevedono un cessate il fuoco e libere elezioni nelle zone a maggioranza russofone, sarebbe per Kiev un suicidio politico. Il Donbass rimane di fatto sotto la protezione di Mosca, che ha rafforzato la sua influenza nell’area.

I leader coinvolti negli accordi di Minsk (foto dal web)

Bruxelles dopo un’iniziale condanna nei confronti del Cremlino con le conseguenti sanzioni economiche, sembra aver ammorbidito il suo atteggiamento accettando in via del tutto ufficiosa la legittimità delle rivendicazioni russe sull’area. A sorridere, come spesso capita negli ultimi anni nel “gioco” della politica internazionale è sempre lui, Vladimir Vladimirovich Putin. L’inquilino del Cremlino sta portando a termine ciò che si era prefissato nel lontano 1999, ovvero ristabilire la zona di influenza russa, tutelandosi dagli appetiti che vengono da ovest. Tutto ciò in uno spirito che è molto diverso dalla Guerra Fredda: la Federazione Russa, attraverso il suo Presidente, sembra gridare a gran voce, in Ucraina e non solo, “ci siamo anche noi”.

Federico Rago