Turchia e Armenia: una riconciliazione possibile, con la benedizione del Cremlino

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Di Maria Paola Pizzonia

Potremmo assistere allo storico incontro per la riconciliazione tra Turchia e Armenia. Svoltosi a Mosca, il summit ha una portata epocale. Ci si aspetta che le due parti si confrontino sulla stesura di una road map che rafforzi la fiducia reciproca e ponga le basi per una storica normalizzazione

Si è svolto ieri a Mosca l’incontro tra delegati di Armenia e Turchia che potrebbe spianare la strada delle relazioni tra due Paesi.

Turchia e Armenia: incontro “positivo per il mondo intero”

Le relazioni tra questi due stati non sono mai state facili. Sin dall’indipendenza di Erevan nel 1991, hanno vissuto violenti alti e bassi. Dall’incontro di ieri si pone la base per la speranza che le due parti si confrontino sulla stesura di una road map. Ciò al fine di rafforzare la fiducia reciproca e porre le basi per una storica pacificazione. Sorprendentemente il tutto si svolge con la benedizione del Cremlino, ha definito il riavvicinamento di Ankara e Erevan ‘positivo per il mondo intero‘.

Ottima anche la notizia della nomina di Serdar Kilic da parte di Ankara. Kili è un diplomatico di di altissimo livello ed è stato ambasciatore negli Stati Uniti. Dall’altra parte la delegazione armena ha alla guida il vice presidente del Parlamento: Ruben Rubinyan.

La storia del conflitto tra Turchia e Armenia

Ad avvelenare ogni tentativo di dialogo tra i due Paesi sono ragioni di natura storica e politica. Sicuramente partendo dalla diversa posizione sui drammatici eventi del 1915 il conflitto è stato inasprito con il massacro degli armeni da parte delle truppe ottomane. Si tratta di un caso storicamente ormai noto. Tra il 1915 e il 1916 infatti molte furono le deportazioni ed eliminazioni di armeni perpetrate dall’Impero ottomano. Questo macabro capitolo della storia causò circa 1,5 milioni di morti. Tale genocidio viene commemorato dagli armeni il 24 aprile.

A tal proposito le richieste sono conflittuali. Erevan chiede che i tragici fatti che segnarono il collasso dell’impero ottomano vengano riconosciuti anch’essi come ‘genocidio’. Tuttavia si tratta di un termine da sempre ‘inaccettabile e contrario alla realtà della storia‘ almeno secondo Ankara. Infatti questa sottolinea come in quei terribili giorni alla frontiera nord est della Turchia perirono anche tantissimi soldati turchi.

La questione di Nagorno Karabakh

A complicare ulteriormente la missione dei delegati è stato il conflitto riesploso a fine 2020 nel Nagorno-Karabakh tra Armenia e Azerbaigian. Qui Ankara ha fornito sostegno non solo politico e diplomatico a Baku, ma anche militare e operativo. Questa è una mossa politicamente cruciale. L’aiuto consistette nell’invio di droni da guerra. Queste premesse hanno tenuto per decenni chiusi i confini dei due Paesi. Ovviamente sono congelate le relazioni diplomatiche.

Va aggiunta una questione di natura internazionale. La Turchia ha riconosciuto l’Armenia all’indomani dell’indipendenza ottenuta nel 1991. Da qui ha subito provato ad avvicinarsi alla nazione. Il governo inviava delegati armeni allo scopo di prendere parte al Forum per la Cooperazione Economica dei Paesi del Mar Nero. Una mossa di Ankara atta a testare quanto fosse rimasto vivo il dolore del passato dalla fine dell’impero ottomano e della diversa epoca storica.

Si apriva una prospettiva di avvicinamento tra le due nazioni, allora facilitato dalle disastrose condizioni economiche dell’Armenia all’indomani dell’indipendenza. Ma non tutto ciò che ben comincia si conclude allo stesso modo. A rompere il delicato e nascente equilibrio fu l’occupazione di territorio allora azero. Ovvero che milizie legate a Erevan entrarono in alcune aree del Nagorno-Karabakh nel 1993, fino ad allora appartenenti all’Azerbaigian. La Russia è intervenuta dopo gli inutili appelli dell’ONU al riguardo. Infine, il 10 novembre 2020 ha annunciato un accordo di tregua tra Azerbaigian ed Armenia e lo schieramento di una forza di pace russa lungo il confine.

Il braccio di ferro tra Turchia e Armenia: gli archivi ottomani

I ci furono molte conseguenze dall’occupazione Ankara da sempre al fianco di Baku. Il governo sospese le relazioni commerciali, chiuse il confine e tra i due Paesi per anni intercorsero solo provocazioni e silenzi.

Un segnale di dialogo arriva nel 2005. L’allora presidente turco Recep Tayyip Erdogan inviò una lettera al presidente armeno Robert Kocharyan. La lettera conteneva la proposta di formare una commissione di storici provenienti da entrambi i Paesi. Ciò per aprire gli archivi ottomani per far luce una volta per tutte sui fatti del 2015. Kocharyan rifiutò. D’altro canto propose di instaurare un dialogo politico di alto livello. Risultato: i due Paesi rimasero fermi sulle rispettive posizioni.

Trascorsi tre anni l’allora presidente turco ereditò il conflitto. Il premier Abdullah Gul chiamò Serzh Sargsyan ovvero l’appena eletto presidente della Repubblica in Armenia. Si trattò della prima telefonata tra capi di Stato dei due Paesi, ma non solo.

Il calcio come pacificatore?

Sargsyan infatti invitò pochi mesi dopo Gul a Erevan. L’invito era per la partita tra le due nazionali di calcio, impegnate nelle qualificazioni per le fasi finali dei mondiali. Passarono altri sei mesi e l’invito venne ricambiato da Gul, che ospitò Sargsyan per il match di ritorno in Turchia. Gul diviene il primo presidente turco a visitare l’Armenia dall’indipendenza, Sargsyan il primo presidente armeno a mettere piede in Turchia.

Gli incontri spianarono la strada a 2 protocolli siglati nel 2009 a Zurigo tra i due Paesi. I rispettivi governi stabilirono all’interno di questi protocolli una road map che avrebbe dovuto portare a una normalizzazione di rapporti. Ovviamente questa non è mai avvenuta. Il primo passo previsto era la riapertura dei confini entro due mesi dalla firma e la formazione di diversi tavoli di dialogo. Un ottimo inizio per porre le basi di una proficua collaborazione tra i due Paesi in diversi ambiti.

Tuttavia mentre i protocolli venivano discussi e ratificati dal parlamento di Ankara, in Armenia finivano al vaglio della Corte Costituzionale. Questo in seguito di numerosi ricorsi presentati da partiti nazionalisti e dalle associazioni di armeni della diaspora. Il parere negativo della Corte Costituzionale su alcuni dei presupposti dei protocolli costrinsero Sargsyan a sospendere la ratifica dei protocolli. Il confine rimase chiuso e tutto terminò in un nulla di fatto.

Un conflitto che sembra non trovare mai soluzione

Ultimo capitolo delle travagliate relazioni tra i due Paesi è stato il conflitto in Nagorno Karabakh, affrontato poco sopra. Fu una questione irrisolta per anni. Il conflitto poi esplose nuovamente a fine settembre 2020 e proseguì fino al 10 Novembre. Fu lì che Mosca si fece garante di un accordo che impose il ritiro delle forze filo armene in territori internazionalmente riconosciuti come appartenenti all’Azerbaigian.

Ankara ha sempre sostenuto Baku con ogni mezzo. All’indomani della fine del conflitto nel Caucaso è quindi Erdogan ad essere soddisfatto di un esito che ha segnato una sostanziale vittoria per l’Azerbaigian. Il premier è tornato a tendere la mano a Erevan con l’offerta di riaprire i confini “per il bene di entrambi i Paesi“. Fortunatamente la risposta è stata buona: il premier armeno Nikol Pasinyan ha definito ‘positivi’ i segnali provenienti da Erdogan. Ha poi annunciato che in questo stesso mese sarà abolito l’embargo nei confronti delle importazioni turche.

Il lavoro della Turchia di Erdogan per avvicinarsi all’Armenia

Quello con l’Armenia è un avvicinamento al quale Erdogan ha in realtà, seppur discretamente, sempre lavorato. Certamente la sua è una posizione inflessibile nel negare che i fatti del 1915 rappresentino un genocidio. Ma è anche tuttavia deciso a fornire qualsiasi tipo di sostegno all’Azerbaigian. Quindi sappiamo anche che Erdogan ha contemporaneamente curato le relazioni con la comunità armena in Turchia.

Il presidente turco ha sempre sottolineato la assoluta uguaglianza e parità dei cittadini di origine armena. Ha inoltre aperto gli archivi ottomani e scritto una lettera di condoglianze per i fatti del 1915 ogni anno al patriarca armeno. Pur negando la definizione di “genocidio” ha addirittura ammesso le responsabilità dell’esercito ottomano. Sulla base di questi dati possiamo dire che i rapporti tra le alte sfere della politica turca e la comunità armena in Turchia non sono mai stati migliori di oggi.

Verso una riconciliazione di portata epocale

Il patriarca armeno Sahak Mashalyan ha rilasciato importanti dichiarazioni in un discorso tenuto alla vigilia dell’anniversario dello sterminio degli armeni lo scorso anno. Le sue parole:

“(Sono) profondamente rattristato dall’utilizzo politico del dolore del popolo armeno e dei nostri padri da parte di alcuni Paesi”.

Sahak Mashalyan

L’intervento di Mashalyan arriva nel pieno della polemica sull’uso del termine genocidio. La questione è tornata in voga con l’insediamento alla Casa Bianca del presidente americano Joe Biden. Questi voleva riconoscere come ‘genocidio’ le stragi del 1915. A rinforzare le speranze di riappacifica sono le dichiarazioni di risposta. Mashalyan nel suo discorso ha auspicato “un miglioramento delle relazioni tra Armenia e Turchia“, che porti alla “riapertura dei confini” e alla apertura di una nuova pagina di rapporti tra due popoli che “condividono mille anni di storia“.

Articolo di Maria Paola Pizzonia