Una proposta a oggi inedita quella della teologa norvegese Jorunn Okland, professoressa di studi di genere e teologia dell’Università di Oslo, che avrebbe pensato all’utilizzo del pronome neutro relativamente al Dio cristiano. Secondo la Okland “la teologia ha sempre detto che Dio è al di là dell’umano, che Dio è al di là del maschile e del femminile“, sarebbe quindi almeno ipotizzabile l’utilizzo del pronome neutro “hen”, di recente introduzione nelle due lingue norvegesi, per rivolgersi a Dio, almeno nell’accezione cristiana. Una proposta che non mancherà di suscitare polemiche, soprattutto all’interno di un mondo che, solitamente, non prende di buon grado le posizioni del movimento LGBTQIA+.

Un Dio senza genere e con un pronome neutro: la proposta della teologa norvegese vuole superare la sessualizzazione del trascendente?

Sono già pronti a gridare allo scandalo i conservatori cristiani del nostro paese di fronte alla proposta della professoressa norvegese Jorunn Okland di utilizzare il pronome neutro per rivolgersi al divino. “Ho pensato che ora che il termine fa ufficialmente parte della lingua norvegese al più alto livello, potremmo iniziare a usarlo a di fuori degli studi di genere e in un contesto più generale. Se riuscissimo a pensare a qualcosa che vada oltre l’umano, che possa essere un modello per qualcosa di più inclusivo, sarebbe un’ispirazione per molte persone, non solo per la chiesa.” Questa, in estrema sintesi, la dichiarazione della docente dell’Università di Oslo, specializzata tanto in teologia che negli studi di genere.

La posizione della Okland riprende l’introduzione del pronome neutro “hen” (sulla scorta dell’inglese they/them) nei dizionari da parte dell’accademia di Svezia, innovazione che ha trovato subito continuo nell’adozione nella vicina Norvegia, che lo ha previsto e adottato per entrambe le lingue ufficiali del paese, Bokmål e Nynorsk (due forme scritte diverse di un’unica lingua, in realtà). L’uso di una nuova variante linguistica, com’è ovvio che sia, ha suscitato polemiche e riserve, ma sta progressivamente prendendo piede, come l’utilizzo inclusivo della schwa (ə) in italiano e in altre lingue latine.

Perché un discorso del “genere” sarebbe inconcepibile in Italia e perché la riflessione della Okland è più profonda di quanto si pensi

In Italia, patria del Vaticano e ancora a maggioranza cattolica, l’ipotesi di un Dio senza genere non sarebbe stata possibile: la causa? La politica, chiaramente. La religione si è sempre posta, nel nostro Paese, come sostrato ideologico attraverso cui parlare direttamente al “cuore” della gente. Le frange conservatrici della politica italiana (ma anche europea, vedi Polonia e Ungheria) hanno inforcato e baciato rosari come simbolo di devozione, hanno abbracciato una carnevalesca idolatria perché il rito cristiano è tutto uno splendido dizionario di simboli. Avvicinare la questione di genere alla teologia (che è disciplina che non è confessionale, ricordiamolo, per cui essere teologi non implica essere devoti) è una mossa che scardina il pregiudizio conservatore e priva la destra filocattolica di una sua bandiera ideologica.

Un Dio senza genere è un’ipotesi plausibile? Forse. Fatto sta che la destra, com’è prevedibile, utilizzerà quesa proposta come ennesima arma per spaventare e atterrire i conservatori e i votanti devoti, dipingendo, in mala fede, un “Dio in gonnella” che potrebbe non piacere. Il discorso si abbassa, insomma, laddove la teologa norvegese tenta di superare le barriere e gli stereotipi: un processo di formulazione del discorso politico che non può e non deve sfuggire a nessuno. Attendiamo la tempesta sorda che verrà da destra, insomma, magari riflettendo sulla proposta di Jorunn Okland. Non si parla del sesso degli angeli, ma di un Dio trascendente le questioni di genere.

Alberto Alessi

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