Undone, la serie tv Amazon, riesce con estrema originalità ad affrontare il tema della malattia mentale, raccontandoci tramite la tecnica del Rotoscope le gioie e le sofferenze della giovane Alma
Non è facile parlare di malattia mentale, un fenomeno complesso e relativo, tanto soggettivo quanto di “dominio pubblico” ormai. Un fenomeno che è assai diffuso nelle società mondiali, specialmente se visto nell’ottica della dilagante medicalizzazione del “sintomo” (a volte più culturale che psichico). Insomma la malattia in generale può rivelarsi un tema scomodo e difficile da affrontare e analizzare. Mentre l’arte spesso nella storia si è dimostrata capace di sublimare e dare un nuovo significato alla patologia, permettendo, a chi ne soffrisse o a chi assisteva, di guardarla da una differente angolazione.
L’arte, in questo caso l’arte del racconto, tramite piccolo schermo, può essere lo strumento necessario a spiegare il disordine, riordinarlo entro una logica un po’ meno pessimistica, ma pur sempre critica e consapevole. Da “Qualcuno volò sul nido del cuculo” a “A Beautiful Mind”, il cinema ci ha dimostrato quanto la “follia” possa essere narrativamente colorata. E “Undone” è una serie molto colorata.
Debuttata sulla piattaforma Amazon Prime lo scorso settembre, “Undone” è l’ultima fatica di Raphael Bob-Waksberg e Kate Purdy, creatori e showrunner di BoJack Horseman. E come la stessa Purdy ha dichiarato:
“Nella prima stagione di BoJack Horseman ho scritto un episodio molto “trippy”, chiamato “Downer Ending”, nel quale BoJack vive un viaggio causato dal trip della droga. Sperimenta questa realtà alternativa in cui, se avesse preso decisioni diverse nella sua vita e fosse stato meno egoista, avrebbe potuto vivere una bella vita nel Maine con la donna che amava e una figlia meravigliosa. A quel punto Raphael si è avvicinato e mi ha chiesto “E se facessimo uno show che inizia da lì?“
Si perché “Undone” è la storia di Alma (la Rosa Salazar di “Alita” e “Maze runner”), una ragazza caotica e trasandata, che scampata ad un incidente stradale, inizia un viaggio surreale attraverso lo spazio e il tempo della propria mente, dei propri ricordi, alla ricerca della verità riguardo la scomparsa del padre (il Bob Odenkirk di “Breaking Bad” e “Better Call Saul”), avvenuta anni prima. Ovviamente questo particolare “potere” nel viaggio provoca nella ragazza non pochi dubbi riguardo la propria persona, già di per sé costantemente messa in dubbio e oppressa dalla routine di una vita divisa fra l’amorevole fidanzato Sam, il lavoro e le aspettative della famiglia. E a guidarla in questo iter sarà proprio il padre, che la condurrà nei meandri e negli spazi più straordinari nonché tenebrosi della sua mente, fino al giorno in cui lui morì, per evitare che sia accaduto, e così cambiare il futuro, la propria vita.
Così le incertezze si spostano anche sulla stabilità del proprio pensiero e sulla natura della realtà stessa: “Ciò che vive Alma è il risultato di una sovraumana capacità acquisita o il frutto di schizofrenia?”
Credo sia qui che si celi uno degli innumerevoli messaggi della serie, sulla libertà di interpretazione dell’esperienza di Alma, che per quanto assurda e inspiegabile sia, certamente non può dirsi edificante, costruttiva, garante del superamento di un lutto al quale evidentemente la ragazza deve ancora far fronte.
E certamente la tecnica rappresentativa del Rotoscope, già usata in altre opere come “A scanner darkly” e “Waking Life”, permette una libertà di movimento ancor maggiore nel tessuto della serie, che diventa estremamente fluida, indefinita, assumendo i non-contorni e i non-confini del mondo onirico, dell’immaginazione e follia. E davanti a simile spettacolo, così delicato e sensibile, che appunto evita di prendere una posizione netta, oggettiva e scientifica, nei confronti della schizofrenia, allo spettatore rimane la libertà di “credere” se ciò che sta vedendo sia effettivamente realtà o meno.
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