Uno dei componimenti più conosciuti e importanti di Ungaretti è la poesia I Fiumi. La sua scrittura risale al 1916, ma compare per la prima volta nella raccolta Allegria del 1931. I fiumi di cui parla non sono solo luoghi fisici, ma le acque che hanno attraversato varie fasi della sua vita, lui qui opera un raccoglimento, una rievocazione dei ricordi attraverso lo scorrere di quelle acque.

Il poeta, in un momento di riposo dalla guerra, ha fatto il bagno nel fiume Isonzo che scorre lungo il fronte orientale. L’acqua del fiume ha riepilogato in sé stessa quella di tre fiumi: il Serchio (legato ai suoi avi a Lucca), il Nilo (che lo ha visto crescere in Egitto in gioventù) e la Senna ( rappresenta gli anni della maturità a Parigi).

Giuseppe Ungaretti, I Fiumi

Cotici, il 16 agosto 1916

Mi tengo a quest’albero mutilato
Abbandonato in questa dolina
Che ha il languore
Di un circo
Prima o dopo lo spettacolo
E guardo
Il passaggio quieto
Delle nuvole sulla luna

Analisi prime strofe

I Fiumi di Ungaretti non è un componimenti legato all’attimo; sta ricordando cosa ha fatto quella stessa mattina. Nomina la Dolina, un avvallamento tipico del Carso, un luogo naturale che rende al meglio il concetto del “raccogliersi“. Siamo di fronte all’dea di una dimensione di sospensione, quasi una capsula temporale che si sta formando. L’albero mutilato è legato alla polisemia tra uomo, guerra e natura, ma in realtà, non si comprende del tutto se abbandonato sia l’albero o l’autore (qui presenta una matrice simbolista). Il circo denota un’immagine di sospensione.

Stamani mi sono disteso
In un’urna d’acqua
E come una reliquia
Ho riposato

L’Isonzo scorrendo
Mi levigava
Come un suo sasso

Racconta, dunque, di una azione compiuta quella giornata. Si è disteso, si è raccolto nell’Isonzo, si distende a riposare e sembra quasi una cosa ancestrale, religiosa, l’acqua è capace di trasformare lui sasso in una pietra del tempo, una reliquia. Sembra un rito, l‘acqua ha un valore cronologico.

Ho tirato su
Le mie quattro ossa
E me ne sono andato
Come un acrobata
Sull’acqua

Le mie quattro ossa” fa riferimento ancora alla pietra, come fosse diventata il suo scheletro. L’acrobata si collega all’immagine del circo nella prima strofa. Il circo non è una metafora di una teatro di guerra, in questo momento non siamo dentro la battaglia, ma siamo prima o dopo di essa. Quest’acrobata sembra quasi un Cristo che cammina sulle acque (immagine cristologica).

Mi sono accoccolato
Vicino ai miei panni
Sudici di guerra
E come un beduino
Mi sono chinato a ricevere
Il sole

Ungaretti, I Fiumi: Strofe con importanti riferimenti storici e culturali

La prima strofa fa riferimento agli studi di Minkoswki (antropologo e filosofo) analizzò la nuova dimensione del tempo di chi tornava dalla guerra e di chi ne ascoltava le testimonianze, tempo totalmente diverso e presente in questo componimento. Lo studioso identificò due tipi di futuro: quello tradizionale che intende il futuro come attività e il soggetto agisce, quella nuova intende il futuro come aspettativa dove il soggetto è fermo e il tempo incombe su di lui, spaventandolo. Chinarsi a ricevere il sole fa riferimento ad una posizione fetale, ricorda i beduini che pregavano nel deserto con il sole sulla schiena, è quindi un’immagine che rimanda alla sua infanzia egiziana.

Questo è l’Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra
dell’universo

Raccogliendosi nell’Isonzo, il poeta si sente dentro il tutto, una parte del tutto, il suo movimento asseconda il movimento del cosmo, dell’universo.

Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia

I suoi dubbi e i suoi dolori lo assalgono nel momento in cui crede di non essere in armonia con il cosmo. Ungaretti crede in una parola che funge da punto luce in grado di traforare il buoi pesto, una parola che tocca l’assoluto.

Ma quelle occulte
mani
che m’intridono
mi regalano
la rara
felicità

Le mani sono le acque dell’Isonzo che lo avvolgono, gli regalano la rara felicità. Ora è in armonia e il tempo, qui, diventa fluido, un sentimento del tempo.

Ho ripassato
le epoche
della mia vita

Questi sono
i miei fiumi

Questo è il Serchio
al quale hanno attinto
duemil’anni forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre

L’importanza dei “suoi” fiumi

Analizza e ripercorre gli anni della sua vita attraverso i fiumi delle città in cui ha vissuto e che lo hanno visto crescere. Il Serchio è il fiume di Lucca, la terra dei suoi genitori e nella quale hanno vissuto i suoi avi.

Questo è il Nilo
che mi ha visto
nascere e crescere
e ardere d’inconsapevolezza
nelle estese pianure

Il Nilo è il fiume che rappresenta la sua infanzia, le estese pianure fanno riferimento al deserto, infatti.

Questa è la Senna
e in quel suo torbido
mi sono rimescolato
e mi sono conosciuto

La Senna è il fiume parigino, città vissute negli anni della maturità nelle vesti da studente, in cui c’erano tutti gli sradicati, tutte le razze perché era centrale nella cultura europea.

Questi sono i miei fiumi
contati nell’Isonzo

Nel flusso del fiume ripercorre, incontra e racconta la sua vita. Siamo dinanzi al tempo del flusso continuo.

Questa è la mia nostalgia
che in ognuno
mi traspare
ora ch’è notte
che la mia vita mi pare
una corolla
di tenebre

Qui abbiamo una nuova curvatura: la nostalgia. “Che in ognuno mi traspare” qui la parola si fa punto luce come fosse una fosforescenza, perché dopo fa riferimento alla notte. Tutto il cosmo si chiude intorno al poeta in una corolla di tenebre e lui si trova davanti a questo buio, ma decide di non oltrepassarlo e quasi con una capriola, accoccolato, va all’indietro. Il futuro come aspettativa non è il procedere in avanti.

Martina Puzone