Di tutti i Paesi europei, l’Ungheria è quello con il tasso di vaccinazione tra i più bassi: solo 6 milioni di persone hanno ricevuto due dosi, 3 milioni la terza. Allora perché stanno già cominciando a somministrare la quarta dose?

Partiamo con il fare un quadro della situazione. Israele e Cile sono gli unici paesi al mondo che hanno già iniziato a somministrarla, mentre per quanto riguarda l’Europa, in particolare i Paesi dell’Unione Europea, solo Danimarca, Grecia e Spagna hanno iniziato a fare qualche passo avanti, limitandola solo alle persone più fragili.

La variante Omicron sta imponendo nuove regolamentazioni a livello di quarantena e delle sue tempistiche, ma soprattutto sta diventando una fonte sempre maggiore di pressione per gli Stati a dover affrettare le somministrazioni delle dosi di vaccino. L’Olanda è uno dei primi Stati a reimporre un lockdown duro all’inizio della nuova ondata scatenata dalla variante. Ma alcune autorità locali minacciano di riaprire le attività a prescindere dalle disposizioni, cosa che potrebbe generare caos totale.

Ma per noi che in Italia stiamo adesso recuperando il passo con la terza dose, sapere che in Ungheria stanno già procedendo ulteriormente fa un certo effetto. Non che sia una gara, intendiamoci, il senso è che forse la decisione dello stato sembra parecchio affrettata. Soprattutto data la mancata somministrazione della seconda e terza dose a gran parte della popolazione.

Facendo così, cominciando a somministrare anche la quarta, c’è il rischio che si crei scompiglio. Sarebbe meglio andare tutti di pari passo, prima di spostarci alla dose successiva.

Intanto dall’Ue agli Usa esperti e infettivologi si chiedono se sia più efficace somministrare subito una quarta dose dei vaccini disponibili, oppure aspettare di avere dei sieri aggiornati contro il maggior numero di varianti. 

Una seconda dose booster (la quarta appunto) non presenta abbastanza dati a suo sostegno, almeno secondo Marco Cavalieri, il capo della strategia vaccinale dell’Agenzia europea del farmaco (Ema).

Sottolinea il medico: il richiamo ogni tre-quattro mesi può essere un piano di emergenza, ma non è una strategia sostenibile a lungo termine.

Della stessa scuola di pensiero anche Emer Cooke, direttrice esecutiva dell’Ema e presidente dell’Icmra (International Coalition of Medicines Regulatory Authorities), e Anthony Fauci, consulente del Covid alla Casa Bianca. Parla la Cooke: “I sieri approvati continuano comunque a fornire un’adeguata protezione contro le malattie gravi e l’ospedalizzazione”. Ma prima di approvare gli aggiornamenti è necessario discuterne ancora un po’ sul piano strategico. Non affrettiamo le cose perché potremmo peggiorarle, insomma.

E la dose booster, o terzo richiamo, garantisce infatti una protezione sufficiente, riducendo l’80% dei ricoveri. L’urgenza a questo punto è un’altra: bisogna cominciare a studiare un vaccino universale. Un siero, ha spiegato Fauci, che sia efficace non solo contro le varianti del Covid-19, ma anche per fermare eventuali coronavirus in futuro.

Serena Baiocco