Dopo la recensione di Venere è un ragazzo, cortometraggio LGBT, noi di Metropolitan Magazine siamo entrati in contatto con il regista Giuseppe Sciarra, al quale abbiamo dato l’occasione di rispondere alle critiche e di parlarci della situazione del cinema queer italiano.
MMI intervista Giuseppe Sciarra
Un’avventura chiamata cinema
Come è nata la tua passione per il cinema e per la regia?
Fin da bambino restavo sveglio di notte, all’insaputa dei miei genitori, per guardare film incomprensibili per la mia giovanissima età, ma che mi mostravano una realtà strana e affascinante. Più tardi ho scoperto le pellicole di Ingmar Bergman, e qualcosa in me è cambiato profondamente, grazie anche ai suoi personaggi così intensi e al loro percorso di autoanalisi per comprendere il proprio dolore. Capii che volevo fare cose del genere, così proposi ad un amico cameraman di girare un corto. Grazie a lui e ad altri amici attori ho iniziato questa avventura chiamata cinema.

Venere è un ragazzo: la genesi e la risposta alle critiche
Da cosa è derivata l’esigenza di realizzare il cortometraggio Venere è un ragazzo?
Venere è un ragazzo è nato da me e l’attore, nonché mio amico, Tiziano Mariani, che mi ha proposto di fare un corto sul crossdressing: l’idea mi intrigava e ammiravo il suo coraggio nel voler affrontare un ruolo del genere. Non è facile per un attore eterosessuale interpretare questo tipo di personaggi, soprattutto se non sei famoso e quello che porti sullo schermo è la tua storia. Parlare di un uomo che si traveste e prostituisce ma non rinuncia alla virilità è rischioso in un paese come l’Italia, dove le maschere che indossi devono conformarsi al patriarcato. Volevamo farci beffa degli stereotipi e della mentalità ristretta di molte persone, a cui abbiamo finito per dare fastidio.

Le critiche si sono fermate alla scena della masturbazione, vista come blasfema a causa del crocifisso, perdendo il senso dell’opera. Ora che ne hai l’occasione come vuoi rispondere?
Molti festival, anche LGBT, hanno rifiutato Venere è un ragazzo, perché ritenuto inopportuno o offensivo, nonostante la scena in questione non sia volgare. Il personaggio di Emanuele (Davide Crispino) indossa un crocifisso mentre si masturba, ed è in pace con quella parte spirituale che accetta le sue pulsioni omosessuali. Eppure mi ritrovo ancora a scontrarmi con certi preconcetti che cercano di limitare la libertà espressiva del linguaggio artistico. Il corto racconta nei suoi quindici minuti delle storie forti, reali e particolarmente dolorose dove ogni scena è pregna di un bisogno inappagato d’amore da parte di tutti i personaggi.

Il cinema LGBT in Italia oggi
Quale pensi che sia la considerazione generale che si ha del cinema LGBT? Ci sono ancora dei giudizi pregiudizievoli?
In Italia credo di sì, nonostante in questi anni siano uscite pellicole interessanti, ma circoscritte soprattutto alla commedia. Mi piacerebbe vederne anche altre a riguardo. Vorrei un cinema in cui personaggi LGBT e eterosessuali si incrocino maggiormente e raccontassero storie e vissuti comuni, rovesciando e mettendo in discussione i tanti cliché presenti in entrambi i mondi.
Che consiglio ti senti di dare ai ragazzi appartenenti alla comunità LGBT che vogliono approcciarsi al cinema?
Come chiunque altro faccia parte di una minoranza discriminata, una persona LGBT ha dalla sua parte una capacità di osare e valicare certi confini prestabiliti che la gente comune non ha, proprio perché ha provato sulla propria pelle delle restrizioni. Io consiglio ai membri della comunità che vogliono fare cinema di preservare questa capacità, facendola diventare il proprio punto di forza per farsi strada non solo nel mondo dello spettacolo ma nella vita in generale.
Chiara Cozzi
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