In questi ultimi anni è risaputo che i videogame non sono visti di buon occhio dalla società, ed etichettati come strumento di violenza e dipendenza. Parlando di quest’ultima, proprio in quel di Brescia, un ragazzo quattordicenne è stato accusato di essere dipendente dagli oggetti elettronici ottenendo così un basso rendimento scolastico.
L’abuso dei videogiochi ed il “distaccamento dal mondo circostante”, con legati ritmi sonno-veglia invertiti, inadempienza scolastica ed isolamento sociale, hanno portato il giovane ragazzo lontano dalle braccia della madre, ed affidato alla comunità della sua città.


L’intera città è rimasta impietrita e sconvolta dalla decisione del giudice, contestando così il decreto emanato dal giudice. Secondo la Onlus, la madre ha presentato appello al provvedimento, “ma i servizi sociali sembrerebbero intenzionati a eseguirlo comunque, senza nemmeno aspettare l’esito della Corte di Appello: avrebbero persino minacciato la mamma di venire a casa con i Carabinieri per portarlo in comunità in maniera coatta, come già autorizzato dal Tribunale”.
Va detto che nel decreto si fa riferimento anche ad altri problemi che potrebbero aver influenzato la decisione di allontanare il ragazzo da casa. Si parla in particolare (ma in modo piuttosto generico) di una precedente tossicodipendenza della madre, che viene invitata a sottoporsi a controlli periodici “per verificare l’astinenza nei mesi pregressi”.
Tornando al ragazzo, gli assistenti sociali, nella loro relazione, hanno inoltre evidenziato nel ragazzo la presenza “di impulsività ed iperattività e disturbo oppositivo”, nonché varie carenze scolastiche. Una situazione difficile a cui, secondo il Tribunale, la madre non è in grado di far fronte esposta com’è  a “continui movimenti emotivi” ed “indisponente nei confronti dell’intervento domiciliare”.


Ma possono queste essere motivazioni serie e con una solida base per poter cacciare via il figlio dal caloroso amore materno? Notizie fondate su cosa? Su un semplice apparecchio elettronico?! La ONLUS afferma che questa presa di posizione, ed un inutile sfoggio di muscoli sia stato abbastanza inappropriato, in quanto il ragazzino pare abbia voluto mettersi in riga da solo. Ne è testimone la lettera-appello inviata al giudice, il ragazzino dice di voler “vivere serenamente a casa con mamma”, di aver “cominciato ad andare bene a scuola” e “consegnato alla mamma la PlayStation perché ho capito che stavo sbagliando e non voglio essere portato via dalla mamma“.
Il Tribunale non ascolta la supplica del ragazzo, in violazione alla Convenzione di New York sui Diritti del Fanciullo ratificata dal Parlamento italiano, sottolinea ancora la CCDU, “e non ascolta nemmeno la richiesta dei nonni, disponibili ad accogliere il nipote per aiutarlo a superare la sua temporanea difficoltà”. Come mai tanto accanimento?


Sonia Manetti del Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani dice: L’imposizione coatta sembra prevalere sul buon senso. Questa sostituzione dell’approccio umano e umanistico con la forza bruta, è figlia della cultura psichiatrica, che tratta gli individui come oggetti. Le valutazioni psichiatriche, di cui è pieno il dossier, non sono supportate da test di laboratorio o prove oggettive, e sono per loro natura soggettive e opinabili. Eppure, vengono riprese dai tribunali come oro colato, impedendo di trovare vere soluzioni e di aiutare questi ragazzi. L’approccio medicalizzante e disumanizzante verso i Gian Burrasca non va bene: le istituzioni dovrebbero aiutare le famiglie, anziché farle a pezzi”.

Non è la prima volta comunque che i videogame, continuano a far parlare molto di sè. La maggior parte delle volte viene usato un tono abbastanza negativo e dispreggiativo nei confronti di questi apparecchi che sempre di più entrano a far parte della vita quotidiana di tutti i giorni. Ma i videogiochi fanno davvero così male da poter allontanare un figlio dalla propria madre, ritenuta incapace di educarlo?
Ovviamente la risposta è: Sì, i videogiochi fanno male, certo! Ma alla fine sono tante le cose che nel quotidiano fanno male, come può far male sollevare pesi non adatti al proprio fisico, bere troppa acqua, fumare sigarette, mangiare 2kg di carne in una volta sola, attraversare la strada senza guardare e centinaia di altre attività normalissime. I videogame del resto, così come un libro, un film, una poesia e qualunque altra opera dell’ingegno umano sono fatti per scatenare in noi una qualche reazione.Forse l’equivoco di base sta proprio in quella parola finale “giochi” che in effetti è un po’ una maledizione, ma finora qualunque altro termine per definirli si è rivelato sempre goffo o pretestuoso.


I videogame possono farci bene e farci male, questo dobbiamo accettarlo indipendentemente dal nostro essere gamer, genitori preoccupati, politici, preti o adolescenti. Possono farci venire voglia di approfondire determinate tematiche storiche o stimolare temporaneamente la nostra aggressività, possono commuoverci, ma anche farci perdere una marea di tempo che potremmo invece dedicare allo studio, al lavoro o alla famiglia. Ma questo vale per qualunque altro hobby, no?

Raffaello Caruso