Vittorio De Sica, cinepresa e neorealismo: una visione disincantata del cinema italiano

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Di Paolo de Jorio

Vittorio Domenico Stanislao Gaetano Sorano De Sica è il nome completo di uno dei più grandi registi che la storia del cinema italiano abbia avuto l’onore di annoverare tra i suoi artisti. Nasce in un paesino di provincia nell’entroterra Laziale nel 1901 ma, nel 1914, la famiglia si muoverà verso Napoli, città che segnerà profondamente la sua produzione artistica lungo tutta la sua vita, pur non rimanendovi a lungo. Si stanzia definitivamente, infatti, a Roma sin dall’età di 15 anni ove inizia in diverse compagnie teatrali come attore amatoriale a calcare le scene. La sua carriera successivamente lo porterà a Milano al Teatro Manzoni e ben presto le sue doti attoriali emersero tanto che inizio diverse tournée in Italia.

Vittorio De Sica, pane amore e…cinema e neorealismo

Ritratto fotografico di un ormai anziano Vittorio De Sica
Ritratto fotografico di un ormai anziano Vittorio De Sica

Una forza istrionica come quella di Vittorio De Sica non poteva certo fermarsi al velluto rosso. Infatti, ben presto, inizia ad apparire sul grande schermo. Il cinema in Italia stava prendendo piede sempre di più e non fa mancare all’attore di Sora l’occasione di esprimere la completezza del suo talento. Lo ricordiamo, in periodo post bellico, nelle brillanti interpretazioni di commedie come Pane, amore e fantasia e Pane amore e gelosia, affiancato da una immortale Tina Pica. Estremamente proficue sono state le produzioni con Alberto Sordi ( Il Conte Max) e con il magistrale Antonio de Curtis, in arte Totò, anche in ruoli più seri e drammatici come ne I due marescialli. O ancora da prova di una vis drammatica nell’interpretazione guidata dal regista Roberto Rossellini ne Il Generale Della Rovere.

Insomma, il cinema sembra soddisfare ogni sfumatura istrionica di Vittorio De Sica, ora non gli resta che un passo e potrà essere consacrato all’imperitura memoria di ogni cineasta del mondo: la regia.

La sua cinepresa avrà il pregio di rinnovare l’estetica del cinema italiano: nasce una visione disincantata, analitica e drammatica del grande schermo, grazie anche alla lezione di Luchino Visconti. Nasce, pertanto, il Neorealismo. Qui la drammaticità delle vicende umane è veicolata da una cristallina interpretazione del reale priva di giudizio ma senza dimenticare l’intento di sensibilizzazione sociale e storica. Ricordiamo alcuni titolo che hanno segnato la storia quali Ladri di biciclette (1948) e Miracolo a Milano (1951) i quali valsero al regista due premi Oscar come miglior film straniero. Inoltre, L’Oro di Napoli, tratto dal romanzo omonimo di Giuseppe Marotta, rimane la perfetta sublimazione artistica dell’amore viscerale che Vittorio De Sica nutriva per la città partenopea.

La canzone napoletana

Il suo, seppur breve, soggiorno a Napoli in età infantile segnò profondamente Vittorio De Sica. Relazione che mai venne interrotta di cui rimangono tracce non solo nel suo cinema ma anche nel suo rapporto con la tradizione musicale della città. Napoli lo ha sempre chiamato cantando ed egli rispose sempre con la sua voce, anche se, come dichiarava Ernesto Murolo, tiene solo nu fil’ ‘e voce. Nonostante questa iniziale critica non smise di raccontare la canzone napoletana nelle case degli italiani, anche grazie all’avvento dell’era televisiva e alle così dette riviste che venivano mandate in onda nei primi anni ’60.

I programmi di varietà, come il celeberrimo Studio uno, ben si confacevano alla diffusione di questo patrimonio immenso che lui interpretava con dedizione e amore continua. Memorabile fu un duetto con Mina nell’interpretazione di Amarsi quando piove. Fu anche, come egli paventò più volte, l’artista che riesumò una vecchia canzone che rese celebre in tutta la Penisola: Munasterio ‘e Sant Chiara. Canzone ,invero, rimasta esclusivo appannaggio di chi frequentava il teatro napoletano di Eduardo De Filippo, il quale cita nella sua Filumena Marturano questo brano. Nel 1968 arriva a partecipare come autore al Festival Napoli presentando Dimme che tuorn amme con arrangiamento per mano del figlio Manuel De Sica e interpretazione di Nunzio Gallo e Luciano Tomei.

Napoli, quindi, non tradì mai Vittorio De Sica e il regista mai mancò al rapporto di reciproco amore. La città gli deve la notorietà mondiale e il rinnovamento di un’immagine poetica che perdura, ad oggi, incontrastata: un popolo, quello napoletano, che nonostante le avversità ha la capacità di fronteggiare con grande istrionismo, fantasia e passione ogni drammaticità che l’uomo, in questo caso universale, può incontrare sul suo cammino.

Paolo de Jorio

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Immagine in copertina: youtube.com