Eduardo De Filippo, un attore che amava scrivere: le opere del rivoluzionario della commedia dell’arte

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Di Paolo de Jorio

Eduardo De Filippo nasce a Napoli nel 1900 da una relazione extraconiugale tra Eduardo Scarpetta, celebre commediografo partenopea, e la sarta teatrale Luisa De Filippo. Insieme ai due fratelli, Titina e Peppino De Filippo, rivoluzionarono la prassi della commedia dell’arte popolare prendendo, tuttavia, in un secondo momento derive quasi antinomiche tra loro. Infatti fu celebre la separazione artistica tra Eduardo e Peppino per cui le differenze ideologiche portarono all’incompatibilità di collaborazioni. Eduardo prese la direzione del teatro impegnato, pur rimanendo nell’estetica della commedia. Al contrario, Peppino si fece portatore di un’arte più improntata sulle maschere caricaturali e su una comicità che ben si adatterà all’estro di Antonio de Curtis, detto Totò.

Eduardo De Filippo e il Figlio del Caos

La famiglia De Filippo conversa con Luigi Pirandello in un teatro romano
La famiglia De Filippo conversa con Luigi Pirandello in un teatro romano

Raramente si ricorda, nel discutere sul corpus eduardiano, la forte influenza che il Premio Nobel Luigi Pirandello ebbe nell’estetica teatrale di Eduardo successiva al loro incontro. Nato in una compagnia teatrale preposta alla commedia dell’arte e alle maschere tradizionali, il De Filippo trova motivo di approfondimento nella poetica pirandelliana in cui scopre motivi di consonanza con il suo teatro, specialmente nella concezione dell’umorismo.

Eduardo, infatti, pur non rinnegando le sue origini da commediante, sovverte le maschere della commedia dell’arte per conferire loro un crudo realismo disincantato e una profondità psicologica che Pulcinella in origine non poteva di certo avere. Il suo sguardo, umoristico e pirandelliano, guarda alla sua città, Napoli (ovvero tutto il mondo), come pretesto per scandagliare una crisi sociale e umana di cui egli stesso era testimone. Umorismo grottesco, agrodolce e mai esplosivo e liberatorio caratterizza la produzione e la ricerca di Eduardo De Filippo.

Di seguito si propone una rassegna delle opere più significative.

Natale in casa Cupiello

L’opera che più di tutte segna il discrimine tra l’epoca scarpettiana e quella pirandelliana. L’Atto III, in seguito all’incontro con il premio Nobel, si vide compiere sul testo una forte revisione in direzione di una conclusione amara, disillusa e profonda di un valore arcaico e borghese che era la famiglia, radiografata nelle sue ipocrisie e strutture fatiscenti. Il grottesco è incarnato dal protagonista Luca Lucarié Cupiello, uomo semplice e buono, incapace di vedere e comprendere come la sua famiglia ormai si posi su apparenze e nascondimenti per una mera necessità sociale di “salvare la faccia” ( o la maschera?). L’uomo vive nel passato e in funzione del suo presebbio che con tanta cura lo cresce e lo paventa come se fosse un membro della famiglia a tutti gli effetti. Sublimazione del defraudamento patriarcale, la sua distrazione è vòlta ormai a facezie e mere azioni della tradizione più consolidata mentre attorno a lui la sua famiglia si sta sgretolando inesorabilmente.

Eduardo De Filippo e Napoli milionaria!

Anche in quest’opera l’ambientazione familiare si rende sintomo di una crisi sociale e valoriale ormai preponderante. Il I Atto è ambientato nei primi anni della Seconda Guerra Mondiale, in cui emergono le bassezze umane ma anche piccoli bagliori di serena quotidianità pur tuttavia l’oscura natura dell’uomo non profonde benevolenza e approfitta sempre delle disgrazie circostanti. Amalia, la moglie del protagonista Gennaro Jovine, sopravvive con la borsa nera. L’Atto II è nel momento postbellico: la città è ancora presidiata dagli alleati statunitensi e i traffici illegali continuano, poiché si sono rivelati alquanto redditizi. Gennaro, tuttavia, è scomparso durante la Guerra e la moglie, pur amando un altro uomo, lo attende nel suo nuovo sfarzo.

Nel frattempo la figlia maggiore, Maria Rosaria, sedotta e abbandonata da un soldato maericano tornato in patria, porta avanti una indecente gravidanza. Ma è nel III Atto, al ritorno di Gennaro che si sprigiona la forza drammatica e disincantata dell’opera. La guerra non è finita. Pontifica Gennaro Jovine guardando come la città di Napoli sia martoriata da lotte sociali interne in cui chi è stato più furbo e disonesto ora spadroneggia sui deboli uomini ancora leali a dei valori.

La tragedia finale non si consuma, tuttavia, è solo preannunciata e lascia un barlume di speranza. La figlia, nonostante la vita agiata grazie ai traffici della madre, non ha più la sicurezza di sopravvivere a causa di una malattia contratta. Ha’dda passà a nuttata. Solo gli affetti e i valori persi potranno ricostruire una società dilaniata dalla guerra.

Questi fantasmi!

Senza ombra di dubbio la più pirandelliana delle opere. Il grottesco e l’umorismo trovano la loro perfetta consonanza in quest’opera. Un uomo, Pasquale Lojacono, di modeste condizioni economiche vive in un grande appartamento con la moglie Maria. A conferire una svolta alla vita dei coniugi sarà un misterioso benefattore che con incogniti mezzi farà avere il necessario affinché possano aprire nell’appartamento una pensione e incrementare, così, le economie domestiche. Il sovrannaturale benefattore altro non è che Alfredo, amante della moglie, intenzionato a scappare con Maria.

Tuttavia, per scrupolo morale, l’amante vuole alleviare le sofferenze dell’abbandono lasciando una sicurezza economica ben consolidata. Pasquale Lojacono incarna l’umorismo grottesco dell’opera: egli, infatti, crede davvero nell’esistenza di questo fantasma e , poco interessato alla vera origine di quei soldi, fa scorrere la sua esistenza nell’attesa dell’inaspettato e sovrannaturale obolo inaspettato. Solo alla fine, commosso dal buon cuore e dalla molle ingenuità del protagonista, Alfredo lascia un ultimo contributo per sparire per sempre.

Filumena Marturano

Tra le opere più commoventi del corpus di Eduardo, il testo è dedicato alla sorella Titina, prima interprete della donna di Vico San Liborio. In questa commedia l’attacco alla borghesia e alla sua ipocrisia appare palese senza censure: Domenico Mimì Soriano tiene in casa la sua concubina. Filumena Marturano. Una ex prostituta che fuggì dalla povertà per essere l’intrattenimento di gai ragazzotti della Napoli bene. Sarà lì che conoscerà Domenico. L’opera inizia in media res: l’inganno di Filumena è già stato consumato. Da Marturano, la donna è ufficialmente una Soriano, in articulo mortis, come estremo desiderio della donna apparentemente moribonda.

Da qui la vicenda è teatro di un’esplosione di passioni più sfrenate tra i due. Litigate, sotterfugi e vendette si consumano fino alla scoperta delle ragioni di Filumena: è madre di tre figli, di cui uno solo, si scoprirà essere di Domenico stesso. L’istinto materno ha portato la donna a compiere gesti non conformi alle regole sociali ma confacenti alle sue di norme: quelle della vita vissuta nei quartieri bassi di Napoli dove nella propria casa si veniva odiati per essere una bocca in più da sfamare. Azioni inconsulte ma fatte con l’animo di una madre disposta a tutto pur di salvare la sua famiglia. Non svelerà mai a Domenico Soriano quale è il figlio nato dal loro amore. Hanno a essé uguali tutti e tre. La famiglia non si compra, la famiglia si cresce e si ama. Qualsiasi essa sia la sua natura.

L’eredità…

Eduardo De Filippo lascia un’eredità nazionale e internazionale ai posteri preziosa e altresì profonda, un autore da riscoprire nella sua capacità di esplorare e comprendere l’animo umano. Non c’è mai giudizio, clinico realismo mai cinico ma disincantato. Se da una parte l’uomo è capace di freddezza e disonestà a discapito dei suoi simili, egli mostra come, anche in assenza di lieto fine, proprio negli uomini piccoli e semplici risiede la salvezza dell’uomo. L’uomo non si cura col denaro, si cura con la speranza: in fondo è il mondo che fa sorgere il sole non il denaro. Ha’dda passà a nuttata per una nuova aurora.

Paolo de Jorio

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Ph: crono.news