“Volevo essere Maradona” è l’ultimo libro di Valeria Ancione, nel quale racconta il sogno, poi diventato realtà, di Patrizia Panìco, una delle più grandi calciatrici italiane.
“Volevo essere Maradona” è l’ultimo libro scritto da Valeria Ancione, pubblicato da Mondadori, in libreria da pochi giorni.
L’autrice, giornalista sportiva del Corriere dello Sport, il cui esordio letterario è avvenuto nel 2015 con “La dittatura dell’inverno”, in questa sua ultima opera, racconta il sogno di una bambina, che da grande voleva diventare calciatore. Sì, calciatore e non calciatrice, perché in Italia, se nasci femmina, non puoi giocare a calcio…
Per capire meglio perché, fra le altre cose, questo libro non è solo per ragazze o ragazzi, abbiamo parlato con Valeria Ancione, che con grande disponibilità, ci ha raccontato molte cose del suo lavoro, di Patrizia Panìco, e del perché non vuole parlare del fuorigioco…
Un viaggio tra emozioni e sogni, nati in periferia
Valeria, come nasce questo libro? Solo una prosecuzione del tuo lavoro, o qualcosa di diverso e di altro?
“Qualcosa di diverso”, spiega l’autrice. “Ho conosciuto Patrizia Panìco per lavoro, e la prima intervista che feci con lei, ebbe per titolo sul mio giornale “Volevo essere Maradona”. Profetico”, scherza la scrittrice.
“Lei ha poi letto il mio primo romanzo (La dittatura dell’inverno, Mondadori, n.d.r.), ed in quella occasione, nel farmi i complimenti, mi disse che se mai avesse fatto una sua biografia, l’avrei dovuta scrivere io. Forse Patrizia me lo disse per farmi un complimento, ed invece io lo presi come un impegno!”
Inizialmente, i contenuti di “Volevo essere Maradona” sarebbero dovuti diventare una biografia “classica”, nella quale sarebbe stato raccontato il percorso calcistico della Panìco.
Parliamo di una calciatrice con oltre 600 reti in carriera, in circa 550 gare ufficiali, nonché vincitrice di 23 titoli di club, suddivisi tra Scudetti (10), Coppe Italia (5) e Supercoppe italiane (8).
Attaccante classe ’75, Patrizia Panìco ha vestito la maglia azzurra per ben 204 volte, con la quale ha realizzato 110 segnature. Inutile dire (o forse no), che questi numeri costituiscono un record neanche sfiorato, da chi è venuto dopo di lei.
L’autrice, invece, alla ricerca di un modo diverso di raccontare cosa ci fosse prima di tutto questo, d’accordo con Patrizia, ha finito per raccontarne il sogno che fin da bambina l’ha accompagnata: diventare un calciatore.
Un calciatore e non una calciatrice, perché quando la Panìco cominciò a muovere i suoi primi passi nel calcio, in un quartiere complicato come quello di Tor Bella Monaca, sito nella periferia est di Roma, il connubio femmina-calcio, era quanto mai di più improbabile si potesse pensare.
Un libro per ragazzi, certo, ma non solo…
Benché il libro sia pensato per ragazze e ragazzi, il suo contenuto non potrà non conquistare un pubblico ben più vasto. A spiegarcelo è la stessa Valeria Ancione:
“E’ di certo un libro per ragazzi, ma è anche per genitori, perché insegna a sognare. I figli devono essere liberi di sognare, anche i sogni più assurdi – afferma Valeria – soprattutto quando sono ragazzini.
Del resto, rendere liberi i nostri figli di sognare, ci rende liberi di sognare a nostra volta. I sogni non finiscono con la genitorialità”.
Dal tuo punto di vista, la vita, non è un po’ come una partita di calcio?
“Assolutamente si. Penso che il calcio abbia una potenza straordinaria – dichiara l’autrice – forse proprio perché contiene tutti i meccanismi della vita.
Non soltanto la partita in sé, ma anche la squadra, il tifo, il club inteso come famiglia. Il calcio è davvero un’interpretazione della vita, ed io lo trovo potente per questo”.
Nel libro, Valeria Ancione racconta molti particolari della famiglia di Patrizia Panìco, ed in particolare approfondisce la relazione che la calciatrice ha con la sorella, Sabrina, anche lei “pioniera” del calcio femminile.
Così chiediamo all’autrice, se la famiglia non sia un po’ come una squadra. E lei ci risponde così:
“Credo di sì. Nel caso di Patrizia, poi, la famiglia si allarga, dopo che lei risolve, con il tempo, il problema con la nuova famiglia del padre. Lei – prosegue la scrittrice e giornalista – ha un rapporto meraviglioso con la sorella, aspetto che conosco e mi appartiene molto, anche per la mia esperienza di madre di due ragazzi così simbiotici.
Patrizia dice anche, però – ci spiega Valeria – che non esiste la famiglia perfetta, e che famiglia perfetta è là, dove c’è amore. Un messaggio trasversale, anche verso chi pensa che la famiglia sia solo quella con un padre ed una madre, e non con due padri o due madri.
E’ inutile cercare la perfezione. Le gambe storte di Patrizia, ad esempio, sono la prova che una cosa imperfetta, può rendere perfetto qualcos’altro”.
“Un gol dovrebbe valere come un bacio…”
Una delle immagini più belle che l’autrice ci regala in “Volevo essere Maradona”, riguarda il gol: “Un gol dovrebbe valere come un bacio, e invece è spesso un pugno. Peccato.”
E Valeria Ancione ci commenta questa frase così:
“Il gol in sé, è una cosa bellissima da fare, o da vedere, perché dà un’emozione grandissima. Chi lo subisce, invece, lo subisce male, e non riesce a dargli la valenza che invece esso ha.
Ho paragonato per questo, il gol – aggiunge l’autrice – alla cosa in assoluto più bella di tutte, ad un bacio, appunto. Qualsiasi sia la sua forma: in bocca, sulla guancia, in fronte – scherza un po’ Valeria – con la lingua, senza lingua…”
Un aspetto che nel libro viene messo ben in risalto, è la differenza di trattamento (per non dire discriminazione), che le donne, fin da piccole, ed anche nello sport, si trovano spesso a scontare, come quando a scuola, alle bambine, era di fatto vietato mettere il grembiule blu, esclusiva dei maschietti.
Sull’argomento la scrittrice dice:
“Questo è proprio un retaggio culturale, del quale non ci libereremo mai. E’ brutto. E’ un’inutile distinzione di genere. Patrizia, che preferiva il blu, si impunta, e proprio non accettava l’idea di non potersi mettere il grembiule del suo colore preferito, quando era piccola.
L’essere femmina, diventa quasi una condanna. In Italia l’uomo è “giusto” e se l’uomo è giusto la donna è sbagliata, proprio perché è diversa”.
Chiamatela Patrizia Panìco, non Pànico…
In un mondo chiuso alle donne, come era, e per alcuni versi, per come esso appare ancora oggi, come quello del calcio, anche il nome, nonostante i successi, finisce per essere distorto.
E’ la stessa Ancione a rivelarci questo aspetto, che ha interessato Patrizia Panìco:
“Nel libro, ho giocato con l’accento sulla “i”, del cognome di Patrizia. Tuttavia – spiega Valeria – anche dopo i suoi successi, anche in nazionale, capitava che la chiamassero Pànico, e non Panìco.
E’ come se avessero chiamato Tottì, Francesco Totti. Di un’atleta come lei, con oltre 600 gol in carriera, non puoi non conoscere il cognome correttamente. Un altro elemento che ti fa pensare che forse, per contare davvero, occorre nascere maschio”.
Oggi, Patrizia Panìco allena la nazionale italiana Under-15 uomini, un altro record internazionale: prima coach donna di una nazionale maschile.
Da ragazza, però, ci è voluto un po’ perché acquisisse la giusta mentalità, per vivere da professionista, il suo sogno.
Nel libro, Valeria Ancione racconta anche questo:
“La testa, nello sport, è fondamentale. Patrizia ha avuto due grandissime fortune: il talento e la potenza del suo sogno, che è anche diventato “rivendicazione”. Questi due elementi, l’hanno spinta in avanti – dice l’autrice – salvandola anche dal contesto sociale dal quale proveniva.
La “testa” giusta, però, è arrivata col tempo. Patrizia ha capito che di Maradona ce n’è soltanto uno, tutti gli altri si devono allenare. E lo ha capito alla sua prima stagione di Serie A alla Lazio.
Ma si è irregimentata per tempo, cambiando l’alimentazione, allenandosi col giusto sacrificio e la giusta abnegazione”.
“Ora voglio essere Patrizia Panìco…”
“Volevo essere Maradona”, nasce, come detto, come un sogno di una ragazzina, che nel crescere, e vivere sempre più appieno la sua passione, la porta a dire: “Ora voglio diventare Patrizia Panìco”.
E Valeria, ci spiega questa presa di coscienza dell’attaccante italiana più importante di tutti i tempi, così:
“Da piccola, Patrizia voleva diventare come Maradona. All’inizio servono dei modelli, necessari per diventare sé stessi. Sarebbe bello – ci confessa l’autrice – sentir dire un giorno: “Voglio essere Panìco”.
L’ambizione del libro è questa: far diventare un idolo una donna. Se oggi chiedi ad una calciatrice: “Chi è il tuo idolo?”, la scelta ricadrà su un uomo, e sei costretto allora a chiedere: “E tra le donne?”.
Certo, il giorno che anche un maschio dirà: “Voglio diventare come Panìco”, sarà meraviglioso…”.
Quanto lavoro dietro “Volevo essere Maradona”!
La lavorazione del libro, non è stata facile. Per questo l’autrice, ha dovuto riscrivere più volte, ed in modo diverso, quello che è poi diventato “Volevo essere Maradona”.
I ricordi spesso parziali di Patrizia Panìco, hanno costretto Valeria Ancione, a ricostruire il passato della calciatrice, anche grazie all’aiuto delle sue compagne dell’epoca.
Un lavoro complesso, durato circa tre anni, che tuttavia, per i contenuti che da qualche giorno i lettori più giovani (ma non solo), e gli sportivi (ma non solo), possono trovare nelle librerie classiche ed in quelle elettroniche, è giusto ritenere più che fruttuoso.
La realizzazione di “Volevo essere Maradona”, si è tradotta per l’autrice, in un’esperienza magica. La stessa Valeria ci dice infatti:
“Eravamo io, la giornalista, e lei, la campionessa, ma poi siamo diventate altro. E’ stato difficile. Ho costruito alcuni personaggi, funzionali alla storia, ma per assurdo, la stessa Patrizia – ci svela la scrittrice – mi ha poi detto che, ragazzi così, c’erano davvero nel suo quartiere e nella sua storia.
E’ stata letteralmente una magia, per la quale sono riuscita a raccontare cose che non ho visto, ma che Panìco mi ha suggerito con le sue emozioni, accettando anche l’idea di inserire in modo non cronologico, episodi importanti della sua vita, che io ho fatto di tutto per conservare, perché erano davvero divertenti”.
E quella volta che ai mondiali Patrizia dimenticò gli scarpini…
E proprio mentre ci apprestiamo a chiudere l’intervista, Valeria Ancione ci racconta un episodio di Patrizia, che nemmeno la penna più esperta di comicità, avrebbe potuto partorire:
“Ai mondiali del 1999, Patrizia deve giocare con la nazionale italiana contro il Brasile, ma dimentica gli scarpini in albergo! Doveva per forza mettere quelli, per un accordo con lo sponsor! Alla fine – ci svela Valeria – giocò con scarpini non suoi, più grandi di due numeri, ma realizzò comunque un gol, poi però annullato per fuorigioco.
E si procurò un rigore che Antonella Carta sbagliò, non era destino che battessimo il Brasile. Comunque quella fu l’ultima partecipazione ai Mondiali dell’Italia. Ma il 9 giugno le azzurre debuttano al Mondiale di Francia, vent’anni dopo”.
“Volevo essere Maradona” è un libro per chi sogna, un viaggio tra le emozioni di una ragazzina prima, e ragazza poi, che diventa orgogliosa di sé, delle proprie capacità.
Ma è anche un viaggio che ha per obiettivo, quella di far capire ad un mondo ostile, fatto per lo più di maschi, che una donna non ha limiti alle proprie capacità.
Vivere i sogni fino in fondo, e da genitori, far in modo che i figli, possano farlo sempre e con completezza.
Proprio come fece un giorno Patrizia, fino ad arrivare a dirsi: “Ora voglio essere Panìco”, con l’accento sulla “i”.
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